Teheran festeggia i 35 anni dalla rivoluzione di Khomeini, mentre si prepara a dialoghi “costruttivi” sul nucleare
Rouhani parla alla folla in piazza Azadi e minimizza la possibilità di una guerra contro Teheran. Ma le frange più estremiste lo accusano di fare troppe concessioni agli Stati Uniti.

Parlando davanti alla folla radunata in piazza Azadi, il nuovo presidente iraniano, il moderato Hassan Rouhani, ha ricordato che la prossima settimana a Vienna vi sarà il prosieguo dei dialoghi sul nucleare con il gruppo P5+1 (Usa, Russia, Gran Bretagna, Francia, Cina e Germania). Egli ha detto che spera in dialoghi “onesti e costruttivi” e ha minimizzato l’ipotesi di un attacco militare contro l’Iran.
Fino a pochi mesi fa tale attacco – da parte degli Stati Uniti e/o Israele – sembrava imminente, giustificato dal timore che il programma nucleare iraniano avesse come scopo la produzione di armamenti nucleari. Ma in novembre, dopo l’elezione di Rouhani avvenuta in giugno, si è aperto un clima di maggior apertura: Teheran ha accettato di diminuire alcune attività nei siti nucleari; in cambio la comunità internazionale ha allentato il regime di sanzioni che sta provando a fondo le fibre economiche del Paese.
L’allentamento della tensione è vista come una vittoria di Rouhani, dopo quasi un decennio di emarginazione dell’Iran durante la presidenza di Mahmoud Ahmadinejad, caratterizzato da pesante opposizione e violenti discorsi contro Usa e Israele.
Finora Rouhani sembra avere l’appoggio del capo supremo, l’ayatollah Alì Khamenei. Ma le frange più estremiste del Paese accusano il nuovo presidente di fare troppe concessioni agli Stati Uniti.
Il ministro iraniano degli esteri, Javad Zarif, ha detto che i prossimi dialoghi sul nucleare a Vienna saranno “difficili” e che “la sfida più grande è la mancanza di fiducia”.
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