IRAN – (14 Maggio 2017)

Iran al voto. Rohani a Teheran ha contro tutti. Ma parte favorito


Luca Geronico domenica 14 maggio 2017
 
Venerdì le prime presidenziali senza embargo. Il rilancio economico è il tema chiave
 
Selfie di alcune giovani sostenitrici di Hassan Rohani davanti ai manifesti del presidente uscente (Ansa)

Selfie di alcune giovani sostenitrici di Hassan Rohani davanti ai manifesti del presidente uscente (Ansa)

«Le miniere devastate non possono vivere con le vuote promesse di Rohani», ha gridato sdraiato sulla fredda lamiera del cofano nero dell’auto presidenziale. Le urla del minatore di Zemestanyurt, a inizio mese, sono state una gelida ventata di protesta sulla delegazione del presidente Hassan Rohani in visita alle famiglie delle 42 vittime del tragico incidente avvenuto pochi giorni prima nel giacimento di carbone.

Gli stessi cori capaci di sovrastare la propaganda delle parate del primo maggio: sicurezza sociale per le classi meno abbienti, ritardo nei pagamenti, la copertura e la disoccupazione stagionale le richieste più frequenti. Spontanee o preparate ad arte, queste proteste sono il grido di battaglia di una campagna presidenziale più aspra del solito in Iran.

Rohani, dopo aver vinto al primo turno con una valanga di voti (50,71%) nel 2013 promettendo la fine delle sanzioni e una crescita da tigre asiatica grazie all’accordo sul programma nucleare, si trova ora a chiedere venerdì prossimo la fiducia per un secondo mandato con il classico bicchiere mezzo vuoto: «Tutti i risultati positivi dell’accordo nucleare e del superamento delle sanzioni sono stati oscurati dal calo del prezzo del petrolio», spiega l’economista Saeed Laylaz. Di slancio, subito dopo la firma dell’accordo nucleare nel 2015, l’inflazione è scesa a indici a una sola cifra e il Pil è cresciuto del 7,4 per cento. Ma la ripresa delle esportazioni iraniane è stata quasi vanificata dal tonfo del prezzo del barile di greggio da 104 a 44 dollari insabbiando le aspettative di balzo nel benessere: l’anno scorso la disoccupazione è tornata a crescere di oltre un punto percentuale (12,4% ). Un ragazzo su tre nella fascia fra i 15 e i 24 anni è disoccupato, tutte le donne in questa fascia di età. Ma, oltre alle risacche dell’economia, sono le minacce di fare a pezzi l’accordo sul nucleare del nuovo presidente Usa Donald Trump, a creare incertezza. «Prima il mercato immobiliare era bloccato perché si aspettava il calo dei prezzi con la fine delle sanzioni, ora è bloccato per la paura di cosa accadrà dopo le elezioni», spiega Ali Saeedi. In questo stallo molti agenti immobiliari come Ali hanno perso il loro lavoro.

Il presidente iraniano Hassan Rohani (Ansa)

Il presidente iraniano Hassan Rohani (Ansa)

Disoccupazione e crescita, prima emergenza anche in Iran. Rohani ha dichiarato di voler attrarre investimenti stranieri per 140 miliardi di dollari per modernizzare, dopo decenni di isolamento, industria petrolifera e infrastrutture, mentre con la fine quasi totale delle sanzioni 15 miliardi di dollari andran- no agli investimenti e da 3 a 5 miliardi ai sussidi per gli indigenti. Una ricetta poco entusiasmante e contro cui l’opposizione conservatrice ha aperto un violento tiro al bersaglio. «Un albero dal quale non è nato alcun frutto in 4 anni, non produrrà nulla di più positivo per il futuro», ha sentenziato Mohammed Baqer Qalibaf.

Il popolare sindaco di Teheran, candidato conservatore, ha promesso 5 milioni di posti di lavoro in 4 anni e per i disoccupati un sussidio mensile pari a 66 dollari: sarebbe la prima volta in 38 anni di rivoluzione islamica. Ebrahim Raisi, membro del clero e rettore del santuario di Mashhad ha addirittura promesso 6 milioni di posti di lavoro e di triplicare i fondi di assistenza sociale. Una sorta di asta delle promesse, che a molti ricorda il programma di sovvenzioni e prestiti agevolati che, dopo i due mandati di Mahmoud Ahmadinejad, portarono a una recessione del 7% e a una inflazione del 40%. Così su un quotidiano iraniano 141 economisti hanno messo in guardia contro le promesse «inapplicabili» che potrebbero causare di nuovo una grave inflazione, aumentare il potere del dollaro e causare instabilità economica e danneggiare i più deboli. L’invito a perseverare sulla strada aperta nel 2015 non ha convinto la Guida suprema Ali Khamenei che non ha nascosto il suo appoggio ai conservatori intransigenti invitando i candidati a «non completare i piani rimasti a metà dal nemico». Un segnale chiaro, come la pure lo è la mobilitazione delle potentissime Guardie della rivoluzione e del resto dell’apparato per far fallire l’accordo sul nucleare.

Un Rohani “dimezzato”, contro un fronte conservatore agguerrito a parole, ma frastagliato. Così i pochi sondaggi disponibili danno Rohani in testa (27%), ma costretto al ballottaggio con Qalibaf e Raisi praticamente appaiati al 9% che al secondo turno potrebbero fare blocco per sconfiggerlo. Gli indecisi, fra i 56 milioni di elettori, sono stimati nel 52%. Per questo il fronte riformista ha già annunciato, con i suoi leader Hossein Musavi e Mehki Karoubi agli arresti domiciliari dal 2009, di appoggiare Rohani. È il «male minore» mentre le elezioni locali dei sindaci potrebbero rappresentare un test della tenuta reale dei riformisti. E a loro guarda certo Rohani: «La gente dirà ancora una volta no a chi sapeva solo imprigionare e fare esecuzioni», ha tuonato pochi giorni fa con chiaro riferimento al passato da procuratore generale di Raisi. «L’attuale governo – ha aggiunto Rohani – intende connettere il Paese al mondo». Un messaggio anche per Trump.

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Il testo originale e completo si trova su:

https://www.avvenire.it/mondo/pagine/rohani-a-teheran-ha-contro-tutti-ma-parte-favorito

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