La popolazione di Teheran insorge contro Ahmadinejad e il crollo del rial
Scontri con la polizia sono avvenuti nei quartieri commerciali della città e davanti alla sede della banca centrale. La popolazione accusa il presidente di non avere alcuna idea su come affrontare la crisi della moneta. In meno di una settimana il rial ha perso quasi il 40% del suo valore. Per gli iraniani la carne è diventata un bene di lusso.
Teheran (AsiaNews/ Agenzie) – La popolazione di Teheran scende in piazza contro il crollo del rial, che in sette giorni ha perso il 40% del suo valore, facendo salire i prezzi alle stelle. Da ieri la capitale è teatro di diverse proteste fermate con la forza dalla polizia e da agenti in borghese. Dopo l’ondata di proteste dell’onda verde bloccata nel sangue dalla polizia, a Teheran non sono più avvenute manifestazioni di una certa entità. Nel giugno 2009 migliaia di giovani sono scesi in piazza per contestare i risultati delle elezioni. In questi anni il governo ha aumentato le misure di sicurezza, sopprimendo sul nascere qualsiasi forma di dissenso. Per evitare la diffusione di immagini e informazioni, le autorità iraniane hanno oscurato le comunicazione via satellite. I video amatoriali diffusi sul web mostrano centinaia di persone in marcia verso la Banca centrale mentre lanciano slogan contro il presidente Ajmadinejad e il governo che imputano la crisi alle sanzioni imposte da Stati Uniti e Unione Europea per ostacolare il programma nucleare. Su alcuni striscioni si legge “Lasciate stare la Siria. Pensate a noi”. Secondo i media locali violenti scontri fra polizia e dimostranti sono avvenuti nel Grand Baazar di Teheran. Molti negozianti hanno chiuso i loro locali in solidarietà con la manifestazione. La polizia si è scontrata con i manifestanti anche nel quartiere dei cambiavalute di Ferdowsi, dove centinaia di agenti in tenuta antisommossa hanno bloccato lo scambio illegale di moneta e costretto i negozianti a riaprire i loro esercizi commerciali.
“Abbiamo chiuso perché non sappiamo cosa accadrà nei prossimi giorni”, afferma un mercante di Teheran, che sottolinea come sia impossibile per loro far fronte ai prezzi che raddoppiano di giorno in giorno. Behrouz Medani, 42 anni, proprietario di una macelleria nella zona nord occidentale della capitale, racconta che la carne è diventata un bene di lusso. “Molti dei miei clienti si fermano solo a guardare le vetrine e proseguono verso la vicina panetteria. Il pane è diventato l’unico bene in grado di sfamare la popolazione”. Il blocco delle transazioni con l’estero ha bloccato le importazioni e impedisce alla popolazione di ricevere e inviare denaro in altri Paesi. Gli unici beni importabili sono medicine, carne e grano, ma una volta nel Paese anch’essi risentono dell’inflazione. “La gente è nervosa – racconta Mostafa Daryani, 52 anni, che gestisce una piccola catena di supermercati – i clienti comprano solo lo stretto necessario per il pasto quotidiano ed evitano di acquistare beni inutili. Alcuni temono un nuovo rialzo dei prezzi e fanno scorta di latte e pane”. Secondo Yahya Ebrahimi, proprietario di un negozio di elettronica, alcuni negozi stanno speculando sulla crisi, riducendo la disponibilità dei beni più richiesti acquistati a prezzi ancora accessibili e vogliono essere pagati in dollari.
L’ira nei confronti del governo, accusato di non saper gestire la situazione traspare anche dai giornali iraniani.
Oggi il valore della moneta è sceso ancora. Per un dollaro servono 36.400 rial. Secondo gli economisti la valuta potrebbe scendere al livello minino di 40mila. Per cercare di fronteggiare la caduta della sua valuta, il 24 settembre scorso Teheran ha creato un centro per lo scambio di valute estere. Nei giorni scorsi il governatore della Banca centrale, Mahmoud Bahmani, ha affermato che il Paese ha una forte dotazione di valuta straniera per la quale “il cambio scenderà”, perché il centro farà “diminuire la pressione del mercato”. In concreto, esso offrirà un cambio del 2% inferiore a quello del mercato nero. Per rifornire di valuta il centro, ha spiegato Bahmani il governo ha in programma di usare il 14,5% delle sue entrate petrolifere e i ricavi del settore petrolchimico. Tuttavia, le riserve iraniane alla fine dell’anno scorso erano valutate a circa 106 miliardi di dollari, sufficienti, secondo il Fondo monetario internazionale, a garantire le importazioni per soli 13 mesi. Ora sarebbero scese a 50-70 miliardi.
Intanto, i ministri degli Esteri di Gran Bretagna, Francia e Germania hanno inviato una lettera a i 27 Stati membri dell’Unione Europea (Ue) in cui chiedono nuove sanzioni contro la Repubblica islamica. Secondo i leader europei la politica dell’embargo sta funzionando e potrebbe costringere i leader iraniani a fare un passo indietro nelle loro ambizioni di potenza di nucleare. Secondo dati dell’Ue, diversi Stati dell’Unione hanno continuato ad avere scambi commerciali con l’Iran, nonostante le sanzioni. Fra gennaio e luglio la Germania ha esportato beni per un valore di 1,4 miliardi di euro, le esportazioni dell’Italia sono state pari a 550 milioni di euro nel periodo gennaio – maggio. Alcuni diplomatici europei sottolineano però la necessità di pensare a restrizioni che colpiscano l’establishment politico e non la popolazione, che invece – per le ambizioni dei suoi leader – sta pagando il prezzo più alto.
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