Rouhani sfida Trump: venderemo petrolio, nonostante le sanzioni. Iraniani in piazza
Da oggi 700 fra persone, enti e società nella “lista nera” di Washington. La Repubblica islamica rischia l’isolamento dal sistema finanziario globale. Cittadini in piazza cantano “Morte all’America”. La crisi economica e lo scontro interno al potere. Il presidente nel mirino di riformisti e ultraconservatori.
Teheran (AsiaNews) – Il presidente iraniano Hassan Rouhani sfida gli Stati Uniti e assicura che continuerà a “vendere petrolio”, a dispetto dell’entrata in vigore oggi della seconda parte delle sanzioni Usa che mirano ad “azzerare” il commercio di greggio di Teheran. “Infrangeremo con orgoglio – ha sottolineano questa mattina il leader della Repubblica islamica – le sanzioni illegali e ingiuste, contrarie al diritto internazionale”.
Da oggi oltre 700 persone, società, navi e aeromobili verranno inserite nella “lista nera” di Washington: fra queste vi sono alcune delle più importanti banche dell’Iran, esportatori di petrolio e compagnie di navigazione. In aggiunta, il vettore per i pagamenti internazionali Swift network – con base a Bruxelles – ha deciso di tagliare ogni rapporto con Teheran, rischiando di isolarla di fatto dal sistema finanziario globale.
A maggio la Casa Bianca ha ordinato il ritiro dall’accordo nucleare (Jcpoa) voluto dal predecessore Barack Obama, introducendo le più dure sanzioni della storia contro Teheran. Una decisione che ha provocato un significativo calo nell’economia iraniana – confermato da studi del Fondo monetario internazionale (Fmi) – e un crollo nelle vendite di petrolio, obiettivo della seconda parte delle sanzioni da ieri in vigore.
L’amministrazione Trump ha concesso – pur senza elencarle – a otto nazioni una parziale esenzione, concedendo loro la possibilità di continuare a importare petrolio iraniano. Secondo alcune voci, alcuni di essi sono: Italia, Giappone, Corea del Sud, Turchia, Cina e India. Nelle scorse settimane l’Europa ha rispolverato una norma per “aggirare” le sanzioni, ma restano i dubbi sulla reale efficacia.
In queste ore in Iran migliaia di persone sono scese in piazza intonando slogan e canti, fra i quali “morte all’America”, respingendo al mittente qualsiasi ipotesi di trattativa. In questi giorni il clima rischia di essere surriscaldato anche dalle celebrazioni che ricordano l’assedio all’ambasciata del 4 novembre 1979, fra i fatti all’origine della crisi Usa-Iran e dell’interruzione dei rapporti diplomatici.
Le manifestazioni di piazza di ieri per ricordare l’evento sono state occasione per protestare contro l’introduzione delle nuove sanzioni. Per i media iraniani – ma non vi sono conferme indipendenti – milioni di persone in varie metropoli e città sarebbero scesi in piazza, rinnovando il sostegno al grande ayatollah Ali Khamenei.
Secondo analisti ed esperti, questa seconda tranche di sanzioni a tre mesi dalla prima è destinata a innescare un “cambio nei comportamenti” della Repubblica islamica, in particolare per quanto riguarda il programma nucleare e dei missili balistici. Resta il fatto che le prime “vittime” di queste misure punitive sono gli stessi cittadini iraniani colpiti da “iper-inflazione”, la svalutazione della moneta locale, il picco nei prezzi e la crescente disoccupazione. Fra la popolazione civile monta il sentimento di “ingiustizia”, costretta a subire le conseguenze di uno scontro fra governi.
Non solo fra i poveri, ma anche nella classe media e, in alcuni casi, tra le élite vi è la sensazione di un futuro bloccato, di ingiustizia ma finora a poco sono valse le manifestazioni di piazza, represse nella maggior parte dei casi con la forza dai vertici di Teheran. Oggi la priorità non sono i diritti e le libertà civili, ma la politica economica e i programmi di sviluppo per un Paese che sembra essersi fermato dopo anni di crescita (dovuti anche alla cancellazione delle sanzioni decisa da Obama).
A pagare la situazione di crisi è il presidente Rouhani, che a dispetto dei tentativi di rassicurazione e dei rimpasti nella squadra di governo sembra aver perso credibilità e fiducia della popolazione. Per i riformisti, infatti, egli non avrebbe raggiunto l’obiettivo di cambiamento del Paese; al contrario, per i radicali e ultraconservatori – fra i maggiori beneficiari di questa situazione – egli si sarebbe piegato ad accordi con il “grande Satana” che si sono poi rivelati fallimentari per la Repubblica islamica.
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