Iraq. Circondata la moschea di al-Nuri: il Daesh a Mosul prepara la battaglia finale
Abu Bakr al-Baghdadi mentre proclama la nascita del Califfato nella moschea al-Nuri a Mosul
Un soldato iracheno spara un colpo di mortaio contro le postazioni del Daesh a Mosul Ovest (LaPresse)
Tutti lo sanno che sarà quello l’obiettivo della battaglia finale per riconquistare allo Stato iracheno il simbolo della nascita del Daesh. Era il 29 giugno del 2014 quando Abu Bakr al-Baghdadhi proclamò, in una Mosul da circa due settimane caduta in mano ai suoi uomini, la nascita del Califfato islamico. La grande moschea come radice di quell’entità politica che, rifacendosi ai fasti del Califfato classico, ha preteso di dare tra Mosul e Raqqa una patria alla follia criminale jihadista. Il fumo nero che solo martedì saliva dai palazzi della città vecchia, veniva dagli archivi dei ministeri creati dalla macchina del terrore jihadista. I vertici, compreso il califfo Baghdadhi dato più volte per ferito in fantomatici rifugi segreti, sono fuggiti. Per i circa 5mila irriducibili, si prepara la battaglia finale che non può che essere nel nome della «bella morte». La caduta di Mosul significherebbe per il Daesh perdere il versante iracheno del Califfato, mentre in Siria le forze curde sostenute dagli Usa stanno assediando Raqqa, indicata come la capitale “de facto” delle forze jihadiste.
Una battaglia finale che, questi erano gli accordi politici con le organizzazioni internazionali del governo iracheno quando a ottobre partì l’offensiva per liberare tutta la Piana di Ninive, sarà fatta cercando di rispettare il più possibile i civili che ancora vivono in quei quartieri. Proprio per questo la preoccupazione per i 200mila civili che si stima siano ancora nelle zone di Mosul controllate dal Daesh è al culmine: se negli ultimi due mesi giungono testimonianze di carenza di cibo, acqua e medicine, il timore che possano essere usati come scudi umani è ora alla prova dei fatti. Il rischio di una nuova Aleppo è un incubo per le agenzie umanitarie, mentre la prospettiva di una fuga in massa di 200mila nuovi profughi, quando in sei mesi già ne sono usciti dalla città circa 500 mila, ripropone l’ennesima emergenza umanitaria.
Una famiglia in fuga dai combattimenti a Mosul ovest (LaPresse)
Sarà un’estate di fuoco, non solo per le temperature che già sfiorano i 40 gradi, ma per una battaglia finale che aprirà pure lo scontro politico per chi governerà di nuovo a Mosul. Se è città irachena, il nuovo Kurdistan che ha combattuto ed estero sul terreno le sue frontiere verrà ora a reclamare più autonomia se non indipendenza totale. Intanto la presenza di milizie sciite, salite da sud con l’esercito regolare iracheno, in terre sunnite è una nuova minaccia in una società già frantumata da tre anni di guerra al Califfato. Fragilissima in questa situazione la quasi inerme minoranza cristiana che assieme al ritorno nelle sue terre reclama protezione internazionale. Grandi incognite, dietro una battaglia finale che ridisegnerà nuovi equlibri e pericolosi confini.