Iraq: ondata di attentati nel decimo anniversario della seconda Guerra del Golfo
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Dieci anni dopo, attentati, sangue e morti non abbandonano lIraq. Lintervento americano doveva portare alla democrazia un Paese massacrato dal regime di Saddam Hussein, quel Paese oggi è ben lontano dallimmagine disegnata dallallora guida della casa bianca, George W. Bush. Dieci anni in cui almeno 112mila civili sono morti. E lo stesso governo di Baghdad a fornire cifre raccapriccianti, tra gennaio e febbraio di questanno sono morte oltre 450 persone, uccise da bombe o attacchi armati. E a più di un anno dalla partenza degli ultimi soldati americani, era il dicembre 2011, i suoi abitanti sono stremati, la maggior parte dei cristiani sono fuggiti per cercare riparo altrove. La lotta fratricida tra sunniti e sciiti, maggioranza nel Paese, è senza esclusione di colpi. Leredità di quella guerra iniziata dieci anni fa è ben visibile, testimoniata dai fori di proiettili sui muri, dagli edifici colpiti dai bombardamenti americani e non ancora ricostruiti. Chiunque in questo Paese ha perduto qualcuno di caro negli anni che hanno seguito linvasione americana. L amministrazione Bush sperava con lattacco del 20 marzo 2003 di sbarazzarsi delle armi di distruzione di massa, peraltro mai trovate, e di disfarsi di un regime brutale per rimpiazzarlo con una leadership in odore di democrazia di stampo occidentale. Dieci anni dopo, questultimo punto è ancora aperto, e lIraq è un paese che ancora non conosce pace, con un premier Al Maliki che più che a Washington guarda a Teheran. Non mancano tuttavia i segnali di progresso, lIraq ha rimpiazzato lIran al secondo posto nellOpec, Organizzazione dei paesi produttori di petrolio. Nella capitale, Baghdad, si cerca di dare vita a nuove attività, sorgono nuovi centri commerciali, lussuosi hotel vengono edificati in diverse parti del paese. Cè un cambiamento, ma non veloce quanto i cittadini, i giovani soprattutto, si aspetterebbero. Eppure loro per primi testimoniano che per quanto grandi corruzione e distruzione possano essere, le mani degli iracheni che lavorano per costruire un futuro sono tante.