La battaglia di Mosul «potrebbe essere la peggiore catastrofe umanitaria del 2016», avvertono le agenzie umanitarie Onu.
Bruno Geddo, responsabile dell’Acnur in Iraq, peggio ancora della fuga dalla Piana di Ninive nel 2014, peggio ancora dei 300mila civili in trappola ad Aleppo est?
Uno scenario possibile, dovendo noi umanitari lavorare considerando sempre l’ipotesi peggiore. Tra gli 1,5 milioni di civili ancora a Mosul fino a un milione potrebbe scappare e fino a 700mila si troverebbero in situazione di bisogno. I civili a Mosul hanno di
fronte una scelta non facile: se rimangono potrebbero perire sotto le bombe o essere presi dal Daesh come scudi umani; se scappano potrebbero essere uccisi dai cecchini. L’Acnur ha chiesto alle forze armate irachene di rispettare il diritto umanitario: permettere di restare a chi vuole, di fuggire a chi vuole. Finora abbiamo un flusso piuttosto limitato: 4.100 persone in fuga verso sud, verso sud-est e verso ovest in direzione della Siria. Il potenziale di una catastrofe umanitaria c’è.
A giugno la battaglia per la riconquista di Falluja: civili in trapola, violenze settarie sui civili usati prima come scudi umani. Mosul è 4 volte più grande e sede del quartier generale del Califfato. Come scongiurare una la guerriglia urbana?
Occorre che le forze armate che entreranno a Mosul siano elementi di cui la popolazione civile si possa fidare. Quindi le milizie incontrollate non dovrebbero entrare a Mosul perché ci sarebbe un rischio di rappresaglia. E, anche senza rappresaglia, il timore
avrebbero lo stesso effetto: tra milizie incontrollate e il Daesh, i civili potrebbero considerare il Daesh il male minore. Tutti i civili fuggirebbero e la risposta umanitaria diventerebbe impossibile perché oggi non siamo in grado di provvedere per 700mila persone. Solo forze armate sotto il controllo del governo e neutrali potrebbero convincere parte dei civili a rimanere in città.
Non è l’Acnur a gestire i corridoi umanitari, termine che, dopo Falluja, è completamente discreditato: i cecchini sparavano su chi li percorreva o questi esplodevano sulle mine. La strategia, che abbiamo discusso con il governo iracheno, prevede dei punti di
convergenza dove chi sopravvive nella fuga viene raccolto. Poi saranno trasportati dall’esercito iracheno e dai peshmerga verso i luoghi dove si faranno i controlli di sicurezza per assicurarsi che non ci siano infiltrati del Daesh.
Qual è la risposta umanitaria pronta a intervenire?
Vi è una divergenza fra il numero di tende a disposizione e la terra per collocarle. Ad oggi noi abbiamo tende per dare rifugio a 130mila persone. Martedì inizierà un ponte aereo che porterà 1.500 tende per una settimana lavorativa: 7mila tende con l’obiettivo
di avere tende per 300mila persone, quando adesso siamo a 130mila. Quando un campo è stato individuato e predisposto, si possono montare fino a 500 tende al giorno in base alle segnalazioni che vengono dai peshmerga e dall’esercito sugli spostamenti di profughi procurati dalla battaglia.
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