L’analisi
Il Califfato e l’odio dell’Occidente
Franco Cardini
29 luglio 2014
Le Chiese cristiane etnicamente, linguisticamente, culturalmente e liturgicamente arabe o appartenenti ad etnie vicine a quella araba (come laramaico-siriaca e la caldea) e oggi ad essa ormai assimilate hanno origine molto antica, in quanto il cristianesimo si diffuse forse già durante il I secolo a.C. tra le genti arabe, riunite in tribù nomadi disseminate tra la Fertile Mezzaluna (vale a dire larco delle rive dei fiumi Eufrate e Oronte, a nord del deserto detto appunto arabico, e quel deserto stesso). Esse erano a lungo vissute ai margini degli imperi romano e persiano, senza mai lasciarsi davvero inquadrare e dando talora luogo a regni, che avevano come capitali città carovaniere (Palmyra in Siria, Petra dei nabatei nellattuale Giordania, Sanaa dei sabei nellantica Arabia felix, lo Yemen odierno). Fino a tempi recenti alcune tribù nomadi tra Giordania e Arabia Saudita hanno mantenuto un loro coroepiscopo, vescovo appunto di una diocesi nomade che coincideva con larea interessata dalla loro transumanza.
Una prima distinzione importante, tra le Chiese arabe come tra quelle orientali in genere, si stabilì con il concilio di Calcedonia del 451, allorché da un lato si condannò leresia monofisita (il che allontanò dalla Chiesa protetta dallimpero i copti egizi, nubiani, etiopi nonché i giacobiti siriani e i monofisiti armeni), dallaltro si sancì la superiorità del patriarcato di Costantinopoli su quelli antiocheno e alessandrino, che nel precedente concilio di Nicea del 325 si erano vista riconoscere pari dignità. Da allora, i fedeli siro-caldeo-arabi chiamarono melkiti (dal termine malik, che nelle loro lingue affini significa, con qualche variante, re: e allude evidentemente al balileus, allimperatore regnante in Costantinopoli) gli appartenenti alle comunità ecclesiali che si erano dichiarate fedeli al dettato conciliare calcedoniense e che per questo si distinguevano tanto dalle comunità cristiane che erano rimaste invece fedeli alla dottrina nestoriano-eutichiana già condannata nel precedente concilio di Efeso del 431 (e che dal canto loro, in area persiana, erano ben liete di essere suddite del Gran Re sasanide) quanto da quelle monofisite.
Ma nel corso del VII secolo tutto il mondo arabo fu sommerso dallondata musulmana e, in massima parte, convertito allislam. Il nuovo potere non mostrò particolare preferenza per le diverse confessioni cristiane presenti nella sua compagine, salvo trattare occasionalmente i cristiani melkiti con maggior severità, nella misura in cui essi sembravano guardare ancora al patriarcato costantinopolitano come al loro centro, quindi allimpero romano dOriente al quale lislam aveva peraltro strappato Egitto, Siria, Armenia e parte dellAnatolia. Ma in linea generale i cristiani soggetti al potere islamico erano considerati come gli ebrei e gli zoroastriani ahl al-Kitab (popoli del Libro, depositari di una Scrittura dorigine profetica) e quindi dhimmi, sottomessi-protetti, autorizzati a convivere in pace con i musulmani pur dovendo pagare certe tasse la jizia e il kharaji ed essendo soggetti ad alcune restrizioni.
I due califfi musulmani che allora si dividevano lobbedienza dei fedeli, il sunnita abbaside di Baghdad e lo sciita fatimide del Cairo, si disinteressarono della faccenda anche quando, con lo scisma dOriente del 1054, i cristiani calcedoniani si divisero in fedeli alla Chiesa romana che, autodenominatisi cattolici, mantennero nel mondo arabo la denominazione di melkiti pur conservando tanto la liturgia greca diffusa in tutto lOriente quanto gli usi disciplinari greci ad esempio il matrimonio nel basso clero secolare comunità fedeli al patriarcato di Costantinopoli, dette ortodosse: entrambe, peraltro, mantennero il greco come loro lingua liturgica. Lodierna Gaza, ad esempio, dispone di un vescovo arabo ortodosso, è quindi sede di diocesi, mentre i melkiti (vale a dire gli arabi cattolici di rito greco) hanno solo una parrocchia in quanto la sede vescovile è vacante dal 1964.
I cristiani dOriente viventi in terra musulmana, per quanto formalmente protetti dal diritto coranico che ne sancisce però linferiorità giuridica, hanno vissuto come accadde nella penisola iberica fra VIII e XV secolo in modo di solito tranquillo, esercitando prevalentemente i mestieri del mercante, dellartigiano, del contadino e negli ultimi secoli anche qualche professione liberale (molti erano medici: per quanto in quello specifico ramo i più esperti e reputati fossero senza dubbio gli ebrei). Ciò non toglie che, per ricorrenti periodi, essi siano stati vittime occasionali di sommosse o pogrom: come nellEgitto dellinizio dellXI secolo, quando furono perseguitati dal califfo al-Hakim (il fondatore della setta drusa, che distrusse anche la chiesa della Resurrezione a Gerusalemme), nella Spagna dei secoli XI e XII secolo sotto le dinastie rigoriste degli almoravidi prima, degli almohadi poi, o ancora in Libano e in Siria durante il secolo XIX secolo, nonostante la protezione loro accordata dai sultani ottomani. La loro condizione fu comunque senza dubbio migliore di quanto non fosse ad esempio quella degli ebrei nellEuropa medievale e moderna, fino al Sette-Ottocento, per non parlare della Russia zarista.
Mosul, sullalto Tigri, si trova a poca distanza dallinsediamento dellantica Ninive, la splendida capitale dellantico impero assiro, ed è insieme con Aleppo una delle due principali metropoli di quellarea che, corrispondendo appunto allAssiria storica (dal nome della quale proviene quello moderno di Siria), fu organizzata dai califfi abbasidi come governatorato a capo del quale fu posto un funzionario turco (atabeg, cioè padre dei beg) a sua volta nel XII secolo fondatore di una dinastia, gli zenqidi, che ebbero al loro servizio un geniale ufficiale turco, Yussuf ibn-Ayyub, da noi conosciuto come il Saladino, che nella seconda metà del secolo avrebbe unificato Siria ed Egitto e cacciato i crociati da Gerusalemme. I musulmani dellarea di Mosul erano e sono restati tradizionalmente nelle loro maggioranza sunniti, ma non tutti sono arabi: la città è difatti anche centro di un grande insediamento curdo e avrebbe dovuto far parte di un Kurdistan che peraltro alla fine della Prima guerra mondiale non fu mai fondato in quanto gli inglesi, che sulla base di un accordo franco-britannico del1916 occupavano quellarea, lo eressero con il nome di Iraq in regno assegnandolo a Feisal, uno dei figli dello sceriffo hashemita Hussein della Mecca, loro alleato.
Mosul, artificialmente staccata dal suo contesto siriaco, fu negata anche ai curdi, per i quali il sultanato ottomano aveva previsto un particolare vilayat (governatorato) ma che invece furono distribuiti arbitrariamente tra Siria, Turchia, Iraq e Iran. Quanto a Mosul, essa interessava in particolar modo agli inglesi in quanto capitale, con la vicina Kirkuk, di un importante distretto petrolifero. La pesante e spregiudicata politica britannica cominciò a diffondere tra le popolazioni arabe un pregiudizio nuovo, per esse prima sconosciuto: lastio per gli occidentali. E, dal momento che era (e resta) comune la confusione tra Occidente e cristianesimo, lodio antioccidentale si andò traducendo da allora anche in odio indiscriminatamente anticristiano.
Il regime baathista iracheno imposto da Saddam Hussein ispirato al socialismo arabo e quindi, come noi usiamo impropriamente dire, laico, aveva tenuto a bada lanticristianesimo dei gruppi musulmani radicali: per lideologia nazionalista del Baath, contava anzitutto lessere cittadini iracheni al di là di religioni e di confessioni. Ma il rovesciamento di quel regime, nel 2003, ha ricondotto con violenza in primo piano tanto al rivalità arabo-curda, quanto quella sunnito-sciita allinterno dellislam e, infine, quella anticristiana dei gruppi che adesso si richiamano al radicalismo sunnita. Ciò avviene nellambito della guerra civile che oppone il governo di Nuri al-Maliki (gestito esito paradossale dellintervento statunitense da sciiti che guardano con simpatia allIran e alla Russia, pur restando collegati alla tutela statunitense e sostenuti dai consiglieri militari inviati da Obama) ai ribelli sunniti tanto jihadisti quanto saddamisti (unalleanza a sua volta paradossale) che tra Iraq settentrionale e orientale hanno proclamato lo Stato islamico ed eletto califfo il loro leader al-Baghdadi.
La notizia della restaurazione del califfato” (o meglio, dellinstaurazione di un nuovo califfo) da parte dei cosiddetti mujahidin vale a dire impegnati in uno sforzo gradito a Dio dellarea di confine fra Turchia, Siria e Iraq è stata diffusa alla fine del giugno 2014. I jihadisti che hanno la loro roccaforte nelle province sunnite dellIraq settentrionale (a diretto contatto con i curdi, sunniti anchessi, ma non arabi) vi hanno fondato una Dawla Islamiyya fi Iraq wa Shark, espressione grosso modo traducibile in inglese come Islamic State of Iraq and Levant da allora conosciuto dai media occidentali con le incerte sigle di Isil o Isis (secondo che vi si privilegi la parola inglese Levant o quella araba Shark). Il Levante iracheno corrisponde, piuttosto, allarea nordorientale, con i centri di Mosul (occupata nei primi di giugno dai jihadisti), Erbil (in mano alle forze governative del governo di Baghdad) e Kirkuk (difesa dalle milizie curde peshmerga). Mosul e Kirkuk sono importanti centri di estrazione petrolifera. I miliziani jihadisti, che nella prima metà di giugno avevano occupato anche Tikrit e che, presa Mosul la quale non è lontana né dal confine siriano né da quello turco, minacciano anche la Siria e la Turchia, hanno quindi unilateralmente fondato una vera Dawla Islamiyya (cioè un Islamic State, IS, definito tout court tale), che nelle intenzioni dovrebbe raccogliere tutti i fedeli musulmani del mondo e ricostituire lumma, la comunità musulmana nel suo complesso: in altri termini, hanno fondato un califfato. Il nuovo califfo porta il nome del primo califfo dellislam, Abu Bakr, suocero del Profeta in quanto padre della di lui prediletta moglie Aisha: si tratta difatti di Abu Bakr al-Baghdadi, appunto leader dellIs.
La conquista di Mosul da parte delle milizie jihadiste dellIraq nordorientale ha rappresentato un evento molto grave: non solo in quanto quella città ha una determinante importanza sul piano dellestrazione petrolifera, ma anche in quanto si tratta di unantica, colta città di tradizione sunnita, abitata sia da arabi sia da curdi e sede di una fiorente comunità cristiana caldea (vale a dire cattolica, del tipo che altrove appunto si definirebbe melkita, ma che usa nella liturgia lantico aramaico), la quale nel 2003 allatto cioè dellinvasione Usa dellIraq di Saddam contava ben 35.000 fedeli, mentre nel decennio successivo è scesa a 3.000 (diminuendo cioè di oltre il 90%). Va detto che in Iraq, accanto alla Chiesa caldea che aderisce al cattolicesimo, esisteva ed esiste una Chiesa detta assira, di confessione nestoriana.
I cristiani locali hanno abbandonato tutti le loro case di Mosul, ma sono stati fatti oggetto da parte degli jihadisti di furti e di violenze e minacciati di morte in caso intendessero tornare nella loro terra, ormai dichiarata totalmente islamica. Il 21 luglio 2014, a Baghdad, è stata celebrata una Messa per chiedere a Dio di proteggere le comunità cristiane profughe e minacciate: vi hanno preso parte anche molti musulmani (sciiti in maggioranza; ma anche sunniti) che inalberavano cartelli e indossavano T-shirts recanti la scritta di solidarietà «Sono un iracheno, sono un cristiano». Daltronde, il fenomeno dellesodo cristiano si sta producendo dappertutto nel Vicino e Medio Oriente. A Gaza, dove esiste unottima scuola cristiana guidata da un sacerdote argentino, padre Jorge Fernandez, i cristiani locali (tra cattolici e greco-ortodossi) erano 3.000 nel 2009, ridotti nel 2014 a 1.300. Hamas è ormai riuscita a fare della causa nazionale palestinese, alla quale i cristiani locali aderivano in quanto arabi ben consci della loro identità etnica, una causa musulmana: e non è quindi raro che i cristiani locali, che gli israeliani considerano pericolosi in quanto palestinesi, siano visti ormai come traditori e come nemici dai loro compatrioti musulmani. È questo un aspetto particolarmente ingiusto e doloroso dellintera questione riguardante i cristiani dOriente, ai quali troppo spesso viene fatto carico di colpe non loro, bensì originate dalle antiche e nuove violenze poste in atto dal mondo occidentale, che dal canto suo non è ormai nella sua maggioranza più, se non formalmente e sociologicamente, cristiano.
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