La nostra Pesah con un posto a tavola per le vittime innocenti di Gaza

Di Arik Ascherman su Asia News, 23/04/2024

Asia News, 23/04/2024
‘La nostra Pesah con un posto a tavola per le vittime innocenti di Gaza’
di Arik Ascherman *
Gli ostaggi nelle mani di Hamas, ma anche i civili ridotti alla fame nella Striscia e le vittime delle
violenze dei coloni, nella preghiera pubblicata in Israele dal rabbino Arik Ascherman – del
movimento “Torah di giustizia” – nella sera in cui gli ebrei celebrano attraveso il rito del seder la
liberazione dall’Egitto. “È fin troppo facile diventare oppressi e oppressori allo stesso tempo. Resta
con noi, affinché le nostre paure non si ergano a nostri maestri”.
Gerusalemme (AsiaNews) – In queste ore il mondo ebraico sta vivendo una festa di Pesah
pesantemente segnata dalla tragedia del 7 ottobre e dalla guerra in corso a Gaza. Tra i suoi volti
più significativi ieri sera a Tel Aviv c’è stato il seder – la cena rituale in cui gli ebrei rievocano la
liberazione dall’Egitto – che i famigliari degli ostaggi tuttora nelle mani di Hamas hanno tenuto
insieme, rinnovando la richiesta di un accordo che porti alla liberazione dei propri cari. Nelle
stesse ore sul suo profilo Facebook rav Arik Ascherman, rabbino originario degli Stati Uniti che
vive in Israele ed è da molti anni attivo nei movimenti per il rispetto dei diritti umani dei
palestinesi, ha pubblicato questa riflessione a partire da alcune frasi chiave pronunciate dagli
ebrei a Pesah, un testo che pubblichiamo in una nostra traduzione. È una voce significativa di
quella parte di Israele che vede nella giustizia – anche nei confronti di chi sta dall’altra parte della
barricata – l’unica strada per uscire davvero dalla spirale di morte che da più di sei mesi ormai
avvolge Gaza e Israele.
Eloheinu v’Elohei Kadmoneinu (Avoteinu, Avoteinu vEmoteinu), O nostro Dio e Dio dei nostri
antenati, siamo riuniti attorno a questo tavolo del seder come b’nei khorin, persone libere a cui è
stato ordinato di ricordare le nostre notti buie di oppressione. Eppure leggiamo anche:
“Quest’anno siamo ancora schiavi. L’anno prossimo potremo essere liberi”.
Molti di noi quest’anno sentiamo di essere ancora schiavi. La libertà ha un sapore amaro, se siamo
in grado di avvertirlo. Ci è stato insegnato che il popolo di Israele è come un mucchio di noci. Se ne
sposti una, l’intero mucchio ne risente. Prendete in ostaggio uno di noi e nessuno di noi sarà
completamente libero. Quest’anno molti di noi sentono in modo particolare che “in ogni
generazione c’è chi si alza per distruggerci” e pregano che il “Santo della Benedizione ci liberi dalle
loro mani”. In questo seder è particolarmente difficile liberarsi dai sentimenti di oppressione.
Avvertendo il pericolo, è fin troppo facile diventare oppressi e oppressori allo stesso tempo. La
Torah ci avverte di non diventare noi stessi oppressori, ricordandoci: “Perché siete stati stranieri
nella terra d’Egitto”. Eppure, se siamo onesti con noi stessi, sappiamo che anche negli anni passati
siamo stati Faraoni per altri popoli e per gli svantaggiati del nostro stesso popolo. La
consapevolezza che c’è chi vuole distruggerci ci porta spesso a indurire i nostri cuori, a percepire
l’odio anche dove non esiste e a giustificare l’oppressione degli altri. Ci rivolgiamo quindi a Te,
come nei tempi passati. Resta con noi, affinché le nostre paure non si ergano a nostri maestri.
Aiutaci a bandire il Faraone dai nostri cuori e a far entrare il resto dell’umanità.
Con il Faraone a bada, siamo in grado di percepire meglio la profanazione della Tua Immagine che
è impressa in ogni essere umano. Come per le piaghe di un tempo, la nostra gioia diminuisce
quando sentiamo parlare di coloro la cui vita rimane esacerbata. “Hashata Avdei. Quest’anno
rimaniamo schiavi a causa della loro oppressione”. Togliamo altre gocce di vino dalla nostra coppa
di festa e rinnoviamo il nostro impegno a conquistare la loro libertà, completando così la nostra.
Facciamo spazio nei nostri cuori e alla nostra tavola per queste persone.
Gli israeliani i cui cari sono stati uccisi, le famiglie dei soldati caduti e gli ostaggi.
Tanto dolore, perdita e preoccupazione. Tante case in cui i posti vuoti straziano i cuori dei
presenti. Le famiglie degli ostaggi cercano di mantenere la speranza che il prossimo anno i loro cari
saranno liberi. Il vuoto nei cuori e nelle case delle famiglie in lutto sarà per sempre.
Gli ostaggi non avranno né seder né tavola. Gli ostaggi e le loro famiglie hanno un posto nei nostri
cuori e intorno alle nostre tavole.
I non combattenti di Gaza bombardati, senza casa e afflitti da fame e malnutrizione estrema.
Per quanto alcuni cerchino di farlo, non si può negare. La morte perseguita i non combattenti a
Gaza. Migliaia di persone sono morte quando le loro case sono diventate trappole mortali.
Secondo le stime, altre migliaia di persone rischiano di morire a causa di malattie, fame e
complicazioni legate alla fame. I crimini di guerra dei combattenti di Hamas che si nascondono tra
la popolazione civile non esimono dalla responsabilità. Come chiese Samekh Yitzhar nel 1988,
anche noi dobbiamo chiederci: ci sono cose che – anche se tutti gli altri lo fanno e anche se lo
facciamo in nome della difesa – noi non facciamo perché siamo ebrei?
Quest’anno, quando recitiamo “Kol Dekhfin. Che tutti coloro che hanno fame vengano a
mangiare”, che cosa ci impegniamo a fare perché queste parole non restino una frase vuota?
Mentre recitiamo queste parole, che il nostro “tutti” sia davvero “tutti”.
Una famiglia che chiameremo Cohen con un nome di fantasia.
Hanno vissuto per 34 anni in un appartamento Amidar (cioè di edilizia residenziale pubblica). Oggi
lo Stato ha deciso di effettuare una ristrutturazione per l’evacuazione dei vecchi edifici di Kiryat
Menachem. Di solito questo significa che agli inquilini o ai proprietari degli appartamenti viene
data una sistemazione temporanea per poi tornare in un appartamento ancora più grande dopo i
lavori di ristrutturazione. Ma i Cohen sono stati considerati abusivi: dopo aver pagato 34 anni di
affitto all’Amidar e aver voluto comprare l’appartamento, non hanno il diritto di acquistarlo. Lo
Stato intende cacciarli dopo l’evacuazione e la ricostruzione. Non sarà restituito loro
l’appartamento e non hanno alcun diritto. Ora stiamo combattendo una dura battaglia contro il
ministero degli Alloggi per permettere loro di acquistare l’appartamento. La situazione
probabilmente continuerà, a meno che un membro della Knesset non si svegli e cambi le nuove
leggi kafkiane. Il Faraone ha creato un sistema in cui eravamo destinati a fallire e a essere puniti.
Non c’era modo di raggiungere la nostra quota di mattoni. Stasera dichiariamo che lotteremo per
leggi che permettano alle persone di avere successo, non di fallire.
Ibrahim che si guadagnava da vivere con i suoi ulivi.
Ma la sua sfortuna è che il suo uliveto si trova vicino all’insediamento di Khavat Gilad. Non può
raggiungere l’uliveto senza la protezione dell’esercito e quando ci arriva scopre ogni anno che la
maggior parte delle sue olive è stata rubata. Quest’anno lui e molti altri non sono mai riusciti a
raggiungere i loro ulivi. Non c’erano permessi, non c’era coordinamento e, nonostante una lettera
dell’Amministrazione civile, soldati e coloni arruolati nella riserva hanno impedito attivamente ai
contadini di raggiungere i loro alberi. Intere famiglie di coloni sono venute a rubare le olive. Ora
agli agricoltori viene impedito di arare o potare. Alcune piaghe sono di origine divina. Tuttavia,
l’ingiustizia, la violenza e l’oppressione sono piaghe umane che richiedono soluzioni umane.
Questa sera riaffermiamo il diritto di Ibrahim a mantenersi con le sue terre in modo dignitoso e
senza paura.
Abu-Bashar, leader della comunità di pastori di Wadi a Seeq, espulsi con la violenza dalle loro
case il 12 ottobre.
Sotto la minaccia delle armi è stato detto loro che avevano un’ora di tempo per andarsene. I coloni
hanno rubato o distrutto o sottratto quasi tutto ciò che avevano lasciato, comprese case, veicoli e
attrezzature. Wadi a Seeq è una delle 18 comunità che dal 7 ottobre sono state costrette a fuggire
a causa della violenza dei coloni sostenuti dallo Stato o sono state fisicamente espulse. Altre tre
comunità erano fuggite tra maggio e agosto. I proprietari terrieri delle comunità vicine hanno
permesso alle famiglie di Wadi a Seeq di utilizzare temporaneamente materiali da costruzione e di
costruire nelle loro terre, ma il pascolo scarseggia e gli è stato detto che presto dovranno
andarsene. Sono terrorizzati all’idea di tornare, nonostante le nostre iniziative legali e la nostra
disponibilità a stare di nuovo con loro 24 ore su 24, 7 giorni su 7. L’Alta Corte ha invitato le forze di
sicurezza israeliane a fare il loro dovere per proteggerli, ma finora ha rifiutato la nostra richiesta di
emettere un’ordinanza restrittiva per tenere i coloni fuori dalla terra di cui questa comunità ha
bisogno per il proprio sostentamento. Guardano da lontano le greggi dei coloni che pascolano nei
loro pascoli e tra le rovine delle loro case, avvicinandosi sempre più al luogo in cui vivono.
Stasera, ricordando che gli egiziani non ci diedero la paglia per i mattoni, ci identifichiamo con
Abu-Bashar e con tutti coloro che cercano la paglia per le loro greggi, un tetto sicuro sulla testa,
scuole e un futuro per i loro figli. Ci impegniamo a conquistare questi diritti umani fondamentali.
Non hanno una casa o un tavolo permanente, ma hanno un posto nel nostro.
E anche “Ma’asu habonim. La pietra scartata dai costruttori è diventata la pietra d’angolo”.
Mentre recitiamo con gioia queste parole dell’Hallel nel nostro seder, ci impegniamo a costruire
una patria con un posto per tutti quanti oggi sono rifiutati, ignorati o oppressi. L’immagine di Dio
sarà la nostra pietra angolare. Tutti avranno un posto alla nostra tavola.
Ricordando le levatrici di un tempo, sappiamo che i semi della redenzione sono piantati quando ci
opponiamo al comando del Faraone.
L’anno prossimo in una Gerusalemme redenta dalla giustizia.
* rabbino israeliano, fondatore e direttore del movimento Torat Tzedech (Torah di giustizia)

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