LIBIA – (16 Settembre)

Libia: Erdogan in visita a Tripoli, battaglia finale a Sirte

Ennesimo venerdì di sangue in Siria, con almeno 20 morti ad Hama, nel centro del Paese; ancora una volta è stata attaccata la folla che protestava contro il presidente Assad. In Libia, invece, i ribelli verso il pieno controllo delle ultime città fedeli a Gheddafi. Il servizio è di Salvatore Sabatino:RealAudio  MP3

E’ la battaglia finale quella che sta interessando Sirte, città natale di Gheddafi. I ribelli sono entrati attraverso la via costiera e quella del fiume al-Sanai. Violenti combattimenti – secondo i media locali – sono in corso nel centro e numerose sarebbero le vittime; già sotto il loro controllo l’aeroporto della città. Terminato, invece, l’attacco contro l’altra città fedele al colonnello, Bani Walid, finita nelle ultime ore sotto il pieno controllo del Consiglio nazionale di transizione. A Tripoli, invece, è il momento della ricostruzione, quella diplomatica; dopo la visita, ieri, del presidente francese Sarkozy e del premier britannico Cameron – definiti dal portavoce di Gheddafi dei colonialisti – oggi tocca al premier turco Erdogan, che conclude proprio qui il suo tour nei Paesi della “primavera araba”. Esclusa dal giro la Siria, con cui la Turchia vive un momento di forti frizioni, a causa delle violenze in atto, che provocano un incessante flusso di profughi oltrefrontiera. Proprio in Siria continuano, anche oggi, 29.mo venerdì di protesta, le repressioni del regime di Bashar al Assad: l’ultima in ordine di tempo a Hama, nel centro del Paese. Testimoni locali riferiscono di un’ulteriore strage, nelle ultime ore, con numerose vittime. Diversi carri armati e mezzi di trasporto truppe si stanno, inoltre, dirigendo verso la località di Maarat al-Noamane, nel nord del Paese. Lo hanno reso noto fonti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani. Si teme, a questo punto, che la situazione possa ulteriormente precipitare: un segnale emblematico giunge dagli Usa, che hanno invitato tutti i propri cittadini a lasciare al più presto il Paese.

Libia e Siria, due crisi differenti; l’una sfociata in guerra aperta tra sostenitori e oppositori di Gheddafi, l’altra invece paralizzata dalla repressione messa in atto da Bashar Al Assad. In entrambi i casi, però, è stato formato un Consiglio nazionale transitorio (Cnt): organo che dovrebbe garantire la voce dell’opposizione e la transizione verso stati democratici. Quali le differenze tra i due Cnt, quello di Misurata e quello con sede ad Istanbul? Salvatore Sabatino ne ha parlato con Alessandro Politi, analista politico e strategico:RealAudio  MP3

R. – Quella di Misurata è una figura affermata, che dovrà ormai prepararsi ad una transizione, perché poi bisognerà stabilire una costituzione delle regole elettorali; il Cnt deve, però, ancora chiudere l’ultima fase della guerra civile all’interno della Libia. Il Consiglio nazionale di transizione siriano è, invece, un Consiglio composto per più delle metà da dissidenti siriani – i cui nomi restano, però, segreti per evitare arresti da parte delle forze di sicurezza – e da un 40 per cento di dissidenti in esilio. Il fatto che si sia poi costituito ad Istanbul è certamente un segnale politico molto chiaro, così come è interessante il fatto che prevedano in sei mesi di abbattere il regime.

D. – Il Cnt libico è considerato da molti Paesi come l’interlocutore ufficiale della nuova Libia: quello siriano riuscirà a seguire questo percorso di riconoscimento internazionale?

R. – E’ difficile, perché per tutti quanti i gruppi politici in esilio è sempre molto complicato agli inizi ottenere appoggi: l’appoggio più consistente per ora è quello turco e proprio il Paese anatolico si conferma come un attore molto importante della scena euro-atlantica.

D. – Come mai, nonostante i numerosi appelli della Comunità internazionale e le sanzioni imposte, il regime siriano non ha fatto ancora alcun passo indietro?

R. – Perché le sanzioni richiedono tempo e il governo siriano pensa che il tempo lavori a proprio favore: il che non è proprio così scontato!

D. – Invece, in Libia gli osservatori internazionali temono infiltrazioni di al Qaeda: come evitare in questo caso la deriva estremista?

R. – I combattenti jihadisti, che hanno contribuito alla caduta di Gheddafi sono stati – in modo, forse, poco assennato – aiutati dai governi francese ed americano: questo nella fretta di chiudere la campagna e di avere dei combattenti certamente più esperti rispetto a tanti altri. Speriamo ora che questo errore non abbia serie conseguenze. L’antidoto migliore è comunque la democrazia: i libici stessi sono il miglior antidoto se le loro regole sono davvero democratiche. Anche se ci fossero nuovamente nascite di fenomeni terroristici, sarebbero immediatamente isolati sul piano politico. (mg)

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