Libia: rischio catastrofe umanitaria per scontri tra islamisti
Forze contrapposte che quotidianamente lottano per conquistare il potere. È emergenza in Libia per l’avanzata delle milizie islamiche provenienti da Misurata. Dopo il controllo di Tripoli, sono riuscite ad occupare anche larea di Warshfana a Sud Ovest della capitale. Per la zona, il parlamento libico – eletto nel giugno scorso e costretto a riunirsi a Tobruk perché contestato dai gruppi jihadisti – ha evocato il rischio di catastrofe umanitaria per i sanguinosi combattimenti tra fazioni armate rivali. Intanto a Bengasi, i caccia fedeli al generale Khalifa Haftar, ora fedele al parlamento e protagonista di un’offensiva anti-jihadista, hanno bombardato il lato non petrolifero del porto, per fermare alcune navi dei miliziani islamici. Proprio a Bengasi, inoltre, sono stati rapiti nelle ultime ore un medico anestesista ucraino e la moglie. Sulle forze rivali che si affrontano in questo momento, Giada Aquilino ha intervistato Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle relazioni internazionali allUniversità di Firenze:
R. – In questa fase si tratta di forze islamiste in qualche modo trasversali, che hanno cominciato la loro offensiva partendo da Ovest, partendo da Misurata, e poi avanzando lungo la costa fino a controllare praticamente tutte le grandi città, esclusa Tobruk dove il governo e il parlamento sono asserragliati sul confine egiziano. Il grande problema della Libia è che, se anche gli islamisti sono minoranza, le fratture tribali – soprattutto tra Tripolitania e Cirenaica – impediscono una risposta a forze che appunto sono minoritarie rispetto allassetto del Paese.
D. – Il parlamento libico, eletto nel giugno scorso, è contestato da queste milizie jihadiste ed è costretto appunto a riunirsi a Tobruk, che si trova a 1.200 chilometri da Tripoli. Ci sono stati almeno dei tentativi di disarmare le numerose milizie che agiscono sul terreno?
R. – Il governo credo che controlli molto poco e quindi non può neanche disarmare. Peraltro le elezioni di giugno hanno aggiunto altro caos: nei giorni scorsi è stato rinominato il precedente primo ministro, Abdallah al-Theni, che sta letteralmente ricominciando da capo.
D. – Si può dire che, dalla morte di Gheddafi, il già precario equilibrio politico e sociale della Libia si è definitivamente rotto?
R. – Definitivamente sì, perché Gheddafi – come anche Saddam Hussein in Iraq – teneva insieme a forza i pezzi della Libia: adesso ogni pezzo pensa di avere titolo a governare il Paese come meglio crede.
D. – Adesso il parlamento evoca il rischio di catastrofe umanitaria proprio nellarea di Warshfana, a Sud-Ovest di Tripoli, da settimane teatro di sanguinosi combattimenti. E una situazione che un po richiama quella della Somalia, in preda allanarchia?
R. – Credo che per la Somalia si tratti di condizioni peggiori. A Tripoli cè sempre un retroterra dove in qualche modo ci si può rifugiare Certo il modo di aiutare la Libia è pressoché impossibile, perché non è garantita alcuna condizione di sicurezza per qualsiasi tipo di intervento, anche umanitario.
D. – In questo momento di mobilitazione per lavanzare del sedicente Stato Islamico (Is) in Medio Oriente, cosa è mancato finora a livello internazionale per la Libia?
R. – Per la Libia quello che manca è un chiaro referente. La Libia è un Paese che faceva parte delle colonie italiane, poi sono arrivati gli inglesi. A tuttoggi quello che manca in Libia è un chiaro Stato di riferimento: lItalia ovviamente – anche per lacquisto di petrolio – vorrebbe mantenere la Libia nella sua sfera di interesse, ma ci sono forze ben maggiori, francesi e anche americani. Mancando un riferimento preciso, non cè coordinamento.
D. – Da più parti si è lanciato lallarme per unavanzata dellIs anche in Nord Africa
R. – Questo è possibile, solo che non esiste uno Stato Islamico: ognuno lo interpreta a modo suo. Non cè alcun collegamento tra quello che avviene in Libia e quello che avviene in Siria e in Iraq con lIs. Ognuno ha il proprio Stato Islamico.
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