MALI – (25 Marzo )

GUERRA CONCLUSA, MA…
 
Mali, resta da vincere la difficile partita della riconciliazione

Tra paura di attentati e pacificazione ”in divenire”, il Paese riparte con difficoltà. Nonostante i controlli di sicurezza e una situazione in apparenza calma, a Bamako c’è ancora paura di infiltrazioni degli jihadisti. E davanti al fallimento dei tentativi della politica, la Chiesa cattolica invita i fedeli a diventare ”partigiani della riconciliazione”. La testimonianza dell’abbé Timothée Diallo
Davide Maggiore

 
Timori di violenza e tentativi di ricostruzione si intrecciano in Mali: lo confermano fonti religiose nel Paese che, quattordici mesi fa, ha visto le forze francesi intervenire, al fianco dell’esercito locale, per riconquistare le regioni del nord, occupate prevalentemente da gruppi ribelli jihadisti. “La situazione è calma ma la gente ha paura, teme attentati anche nella capitale da parte dei fondamentalisti, perché si dice che ce ne siano alcuni che si sarebbero infiltrati persino qui a Bamako”, spiega il curato della cattedrale locale, l’abbé Timothée Diallo. La cautela domina anche nelle parole di altre fonti che, pur riferendo al Sir di una situazione “calma”, hanno chiesto di non venire citate direttamente.
 
Allarme per l’agricoltura. Quelle sulla presenza di cellule islamiste in città, ribadisce l’abbé Diallo, sono solo voci, ma nonostante la presenza di “molti controlli di sicurezza”, c’è chi resta in allarme: “Io penso che non possa succedere nulla, per il momento – racconta – ma altri hanno paura”. Guardando al lungo periodo, il sacerdote esprime preoccupazione, ma per una ragione diversa. Nel Paese, dice “la popolazione vive soprattutto di agricoltura, allevamento e pesca, e l’ultima stagione non è stata buona, almeno in alcune zone: non ha piovuto molto e questo significa che nei prossimi mesi la gente non avrà nulla da mangiare”. In particolare, il curato cita la situazione della regione di Ségou, 230 chilometri a nord-est di Bamako: “Ci sono stato ad ottobre – testimonia – e molti campi erano completamente secchi”. Procedendo verso nord, la situazione umanitaria non migliora. Da un lato, molti degli sfollati interni che si erano rifugiati a Bamako o in altre località del meridione sono tornati alle loro regioni d’origine: anche il centro gestito dalla Chiesa cattolica nella capitale, dove quest’estate erano ospitati “ancora un centinaio di rifugiati”, è oggi vuoto, conferma l’abbé Diallo. D’altro canto, “tutti coloro che sono tornati a nord e si sono registrati hanno avuto dalla Caritas un sostegno per poter vivere per qualche tempo, soprattutto cibo, che dovrebbe bastare più o meno per tre mesi”, spiega il religioso, sottolineando la difficoltà di far ripartire le attività dopo il lungo conflitto.
 
Le truppe francesi ancora sul campo. Le ostilità, in effetti, non possono dirsi del tutto finite. Il ministro della Difesa francese, Jean-Yves Le Drian, ha dichiarato ai media che nelle ultime settimane le forze francesi, in una serie di blitz, hanno ucciso “una quarantina di terroristi, tra cui Ould Hamaha, un capo storico di Al Qaeda nel Maghreb Islamico”, una delle principali sigle islamiste attive nell’area. Secondo il ministro “la guerra di liberazione del Mali è finita, ed è stata vinta”; ciò che prosegue è invece “la lotta al terrorismo”. Che restino preoccupazioni per la sicurezza lo conferma, tra l’altro, il sequestro ancora in corso di cinque operatori locali della Croce Rossa Internazionale, rivendicato da un altro gruppo armato, il Mujao (Movimento per l’unità e il jihad in Africa occidentale), e avvenuto il 10 febbraio tra le città settentrionali di Gao e Kidal. Proprio in quest’ultima località la presenza contemporanea delle forze maliane, della missione Onu (Minusma) e di gruppi armati autonomisti tuareg, oltre a cellule fondamentaliste, ha provocato tensioni.
 
Riconciliazione difficile. La presenza di “molte fazioni che non hanno gli stessi interessi e gli stessi scopi”, secondo l’abbé Diallo, fa sì che la riconciliazione tra il Nord e il Sud del Paese “sia ancora in divenire”, nonostante rappresenti una priorità per il governo nominato dal presidente Ibrahim Boubacar Keita, vincitore delle elezioni dello scorso luglio. A livello istituzionale, spiega il sacerdote, “si è insediata una commissione per la riconciliazione, ma non ha cominciato i suoi lavori”, tanto che si sta provvedendo a sostituirla con un’altra: il 20 marzo il Parlamento ha approvato una risoluzione per la creazione del nuovo organismo. I cattolici nel paese africano rappresentano solo il 2% della popolazione, ma anche la Chiesa ha scelto come tema per l’anno pastorale “riconciliazione e dialogo”. L’invito ai fedeli, conclude il curato della cattedrale di Bamako “è di riconciliarsi prima con sé stessi e poi con gli altri, in modo da agire come ‘partigiani’ della riconciliazione”.
 
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