MATRIMONI MISTI – ( 21 Febbraio )

MATRIMONI MISTI

Questione di dialogo
 
Da una ricerca coordinata dalla sociologia Carmelina Chiara Canta emerge una crescita costante. Preoccupa il fenomeno dei credenti (spesso donne) che sposano persone che hanno abbandonato la fede. Prevalentemente maschi italiani

 
 
Sono 10.858 i matrimoni “misti” celebrati nelle chiese cattoliche d’Italia nel decennio che va dal 1999 al 2008. Sono matrimoni che hanno unito partner cattolici con coniugi di altra confessione cristiana, di altra religione, non battezzati, o che hanno abbandonato la fede. Nel corso degli ultimi decenni il fenomeno è aumentato e questa nuova situazione richiede una particolare attenzione pastorale, sia nella preparazione ai matrimoni sia nell’accompagnamento delle famiglie dopo la celebrazione delle nozze. Per queste ragioni gli Uffici Cei per la pastorale della famiglia, per i problemi giuridici e per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso promuovono, dal 21 al 23 febbraio, un convegno a Roma dal titolo: “Amarsi e sposarsi nei matrimoni misti: attenzioni pastorali e canoniche”. Il convegno si è aperto con l’analisi di una ricerca commissionata dall’Ufficio per il dialogo ecumenico e interreligioso della Cei. È stato inviato un questionario alle 223 diocesi presenti in Italia: hanno risposto 83 diocesi, pari al 39%. Si tratta di una realtà dal punto di vista della ricerca sociologica significativa, se si tiene conto che l’insieme della popolazione delle 83 diocesi analizzate corrisponde a 23.131.466, più di 1/3 della popolazione residente in Italia, che è di 58.864.257. Maria Chiara Biagioni, per il Sir, ha intervistato Carmelina Chiara Canta, sociologa delle religioni, docente all’Università Roma Tre e curatrice della ricerca.

Dunque, quanti sono i matrimoni misti celebrati nelle diocesi italiane?
“Abbiamo esaminato il decennio che va al 1999 al 2008 e complessivamente le richieste di dispense e licenze per matrimoni ‘misti’ e ‘dispari’ sono state 10.858. Di questi matrimoni 6.401 sono matrimoni interconfessionali pari al 59% (tra cristiani in cui c’è una parte cattolica e una parte cristiana). I matrimoni interreligiosi sono 839, pari all’8% (con musulmani, buddisti ebrei, ecc). Sono infine una quantità rilevante i matrimoni con coniuge di altre tipologie (non battezzati, abbandoni della fede, battezzati passati ad altra confessione) che sono 3.618 pari al 33%. Dal punto di vista geografico, a parte il picco della città di Roma, i matrimoni ‘interconfessionali’, ‘interreligiosi’ e ‘altri’ si concentrano nelle città del Nord e del Centro, dove, come sappiamo, risiede un maggior numero di popolazione immigrata”.

Avete notato un aumento di matrimoni misti nel corso del tempo?
“Nel decennio preso in considerazione aumentano i matrimoni interconfessionali: se prendiamo il 1999 i matrimoni interconfessionali erano il 4%, nel 2008 sono aumentati al 7%. I matrimoni interreligiosi invece, dal primo anno fino alla fine del decennio, rimangono stabili. Aumentano invece moltissimo e cioè del 50% – e questa è la novità della ricerca – i matrimoni con le altre tipologie”.

Nei matrimoni interconfessionali, con chi “ci si sposa di più”?
“Riguardo ai matrimoni interconfessionali, la maggior parte sono matrimoni con ortodossi e appartenenti alle Chiese antiche orientali che sono 3.210 pari al 50% dei matrimoni interconfessionali. Sono soprattutto le donne ortodosse a sposare uomini cattolici. Il 17% sono matrimoni con partner luterani, l’11% con anglicani e il 5% con valdesi metodisti”.

E nei matrimoni interreligiosi, da dove proviene in maggioranza il partner?
“I matrimoni interreligiosi sono nel valore totale di 839, pari all’8%. La maggior parte è con partner islamico (il 52%). Seguono le religioni tradizionali asiatiche (35%), gli ebrei (11%) e, infine, le religioni di tradizione africana che sono attorno a un numero non rilevante. Riguardo ai matrimoni con islamici, sono soprattutto donne cattoliche che sposano gli uomini musulmani, sebbene nel decennio preso in considerazione c’è stata una crescita di donne musulmane che sposano uomini cattolici. È il segnale di un cambiamento culturale. La prima nazione da cui provengono gli appartenenti alla religione islamica è l’Albania, seguita da Marocco, Tunisia e Algeria. Riguardo alle religioni tradizionali asiatiche: i matrimoni più numerosi sono con i buddisti. Sono complessivamente 200: la prima nazione di provenienza è il Giappone, seguita da Tailandia e Italia. La presenza di richieste di matrimoni con buddisti italiani conferma l’ipotesi di un numero di cattolici italiani convertiti al buddismo o di figli di convertiti al buddismo, cioè la seconda generazione di buddisti italiani”.

Che cosa intendete per “matrimoni con altri”?
“Abbiamo diviso questi matrimoni in 4 categorie: con partner con abbandono formale (e cioè con dichiarazione scritta) della fede cattolica (il 18%); abbandono notorio della fede (il 16%); la maggioranza è costituita da non battezzati (sono il 65%) e, infine, i cattolici che hanno aderito ad altre religioni (il 35%). Nel chiederci poi chi sono e a quale nazionalità appartengono, abbiamo scoperto che sono soprattutto italiani e, cioè, il 45% dei non battezzati è italiano e riguardo all’abbandono notorio della fede, gli italiani sono addirittura il 98%. Partita, dunque, come una ricerca sull’immigrazione, l’indagine ha via via coinvolto gli italiani aprendo dal punto di vista pastorale alcuni interrogativi sulle ragioni degli abbandoni della fede”.

Nelle diocesi sono previsti itinerari di accompagnamento per coppie miste?
“Nella maggior parte delle diocesi non ci sono itinerari che accompagnano prima e soprattutto dopo le famiglie. Non si conosce il percorso religioso della ‘nuova famiglia’; questo accade, forse, nel momento in cui, dopo l’entusiasmo iniziale, la coppia avrebbe maggiore necessità, soprattutto quando arrivano i figli e si deve decidere la loro educazione umana e religiosa. Ne è una conferma la risposta alla domanda se esistono dei dati sul battesimo dei figli della coppia interconfessionale o interreligiosa. I numeri sono molto eloquenti; solo 4 diocesi hanno risposto sì”.

Quali considerazioni finali ha tratto dalla ricerca?
“Lo scenario fondamentale è quello di una famiglia soggetto di dialogo perché la famiglia ha al suo interno più religioni, più confessioni, più appartenenze. C’è anche la famiglia con un dialogo permanente tra persone credenti e persone non credenti o diversamente credenti. E siccome poi la maggior parte sono donne cattoliche che sposano, per esempio, i non credenti e i non battezzati, emerge anche un ruolo importante della donna all’interno di queste famiglie. La radice del dialogo è nella famiglia e pone molti interrogativi sul piano pastorale, sul come cioè gestire questa situazione, come accompagnare le famiglie. La ricerca poi pone interrogativi anche sulla qualità della fede dei cattolici perché se sono disposti ad abbandonarla – il 35% – vuol dire che c’è qualcosa su cui riflettere”.

 
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