
Quanto sta accadendo in questi ultimi giorni nella Striscia di Gaza ci riporta indietro di quattro anni, alla sanguinosa operazione israeliana Piombo fuso
Il contesto attuale, rispetto a quello del dicembre 2008, quando prese corpo loperazione Piombo fuso, è piuttosto diverso. Non si può analizzare il conflitto israelo-palestinese senza tenere in considerazione quello che sta accadendo a livello mondiale in questi ultimi anni, in particolare il vuoto politico riguardo a questo ultradecennale conflitto. Si tratta di un fattore molto pericoloso poiché lassenza di un interlocutore e di un tavolo di negoziato può dare libero corso al conflitto del quale viene occultata la dimensione politica. A questo si aggiunga che la crisi in atto capita in un momento di grande cambiamento storico per il Medio Oriente, con la cosiddetta Primavera araba che ha visto affermarsi, nella gran parte dei casi, i Fratelli Musulmani con la nebulosa dei Salafiti. Questo rende più complicato lagone. Siamo allinizio di una crisi che, se non si ferma subito, potrebbe degenerare pericolosamente in tutta la regione e non solo.
Quali, a suo avviso, le cause di questa crisi? Solo il lancio di razzi palestinesi o lavvicinarsi delle elezioni israeliane che vedrà, a gennaio 2013, il premier Netanyahu alleato con il leader della destra Lieberman?
Ogni lettura ha una sua validità, anche quella elettorale. Lattacco potrebbe avere un peso sullelettorato israeliano creando forte consenso politico. Va, tuttavia, tenuta in considerazione anche lenorme pressione araba e delle sue ali più radicali che, in assenza dinterlocutori, Europa e Usa in testa, crea i presupposti per la degenerazione della crisi.
Una vittoria di Netanyahu al voto di gennaio potrebbe ulteriormente radicalizzare le posizioni in campo, israeliane e palestinesi, e allontanare così uneventuale ripresa negoziale?
Viviamo in una fase storica in cui tutto si sta radicalizzando, anche nel mondo arabo e in Israele. E questo ha luogo quando vengono a mancare la visione e lo spirito del saper vivere insieme e la capacità di usare un linguaggio politico in grado di attuare negoziati. La radicalizzazione delle coscienze comporta scelte politiche pericolose.
Rispetto al conflitto del 2008, in cui Hamas era isolata, ora la fazione islamica che governa la Striscia, sembra avere lappoggio di Turchia, Qatar, Egitto. Quanto complica la soluzione della crisi?
Oggi siamo nel contesto inedito della rivolta araba che ha visto un profondo cambiamento della situazione nella regione, a partire dalla classe dirigente con alcuni leader molto legati a ideologie fondamentaliste islamiche e a settori integralisti, pericolosi, come quelli dei Salafiti. In questo nuovo contesto Hamas ha trovato supporto. Ciò accade, ripeto, in un momento preoccupante in cui interlocutori, come Usa e Ue, sono colpiti da una grave crisi economica che fa dimenticare un conflitto che si svolge a soli 300 chilometri da noi.
È più assordante il silenzio degli Usa o dellUnione europea?
Per Obama, al suo secondo mandato, dovremo aspettare per pronunciarci. Mi preoccupa moltissimo lassenza dellEuropa che ha rapporti storici con il mondo arabo e con lIslam. La sua impossibilità di posizionarsi di fronte al Medio Oriente è un problema geopolitico. Il continente europeo pagherà molto questa assenza nei prossimi anni.
Cè ancora spazio per una soluzione negoziata della crisi israelo-palestinese?
Questo è un conflitto paradigmatico in quanto è un anello di congiunzione fra Ottocento, Novecento e Terzo Millennio. Non prevedo nulla ma vedo che sono subentrati altri interlocutori, assenti fino a pochi anni fa, che sono in modo particolare la Turchia e lAsia. Il mondo è decentrato, abbiamo una molteplicità di centri e questo rende complicato trovare una soluzione.