Sarà presentata dal presidente palestinese, Abu Mazen, il 23 settembre, la domanda di riconoscimento all’Onu di uno Stato della Palestina. Essa prevede anche la richiesta di ammissione piena, da presentare al Consiglio di Sicurezza, in sfida al veto minacciato dagli Usa, se gli emissari del Quartetto (Stati Uniti, Russia, Ue e Onu) non presenteranno “proposte credibili” per rilanciare i negoziati con Israele. Fervono in queste ore i contatti tra i palestinesi e gli inviati americani David Hale e Dennis Ross, la responsabile degli Esteri dell’Ue, Catherine Ashton, e quello del Quartetto, Tony Blair. I palestinesi, secondo il ministro degli Esteri dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Ryiad al-Malki, confidano di avere un consenso maggioritario in Assemblea e sperano di avere “nove voti a favore” anche in Consiglio di Sicurezza, dove potrebbero esserci delle astensioni. Dall’adesione all’Onu i palestinesi trarrebbero diversi vantaggi, tra cui l’accesso alla Corte internazionale di Giustizia dell’Aja e a quella penale internazionale, la possibilità di usufruire delle istituzioni finanziarie, economiche e commerciali ed esigere di trattare alla pari con lo Stato di Israele nel quadro dell’Onu e sulla base delle risoluzioni. Tuttavia resta uno spiraglio a nuove proposte di mediazione sebbene siano ampiamente note le condizioni della leadership palestinese per un ritorno al negoziato con Israele: congelamento delle colonie e riconoscimento dei confini antecedenti alla Guerra dei Sei giorni del 1967. Condizioni respinte da Israele che minaccia la revoca degli accordi bilaterali sottoscritti in passato se la richiesta all’Onu andrà in porto. Dell’argomento il SIR ha parlato con Janiki Cingoli, direttore del Cipmo, Centro italiano per la pace in Medio Oriente.
In cosa consiste questa richiesta?
“I palestinesi chiedono che venga riconosciuto lo Stato di Palestina come membro dell’Onu entro i confini del 1967, con capitale Gerusalemme Est. La richiesta trae origine dall’evidente stagnazione del processo negoziale: i tentativi di Obama di rimetterlo in piedi si sono arenati, ivi compresa la sua ultima proposta di basare il negoziato sui confini del 1967 con possibili scambi territoriali concordati, rifiutata da Israele che giudica questi confini indifendibili e quindi pericolosi. Difficile prevedere uno sblocco della situazione nonostante la missione di Ross e Hale”.
Gli Usa hanno annunciato che porranno il veto per bloccare la richiesta…
“Perché uno Stato palestinese venga ammesso all’Onu è necessaria l’approvazione del Consiglio di Sicurezza. Ponendo il veto gli Usa impediranno il pieno riconoscimento palestinese. Da parte dell’Assemblea Onu, però, potrebbe essere formulata una risoluzione che sancisce l’esistenza di uno Stato palestinese, è ciò sarebbe comunque un passo in avanti, anche se sarà il tempo a dirlo, in quanto permetterebbe, tra le altre cose, ai palestinesi di adire al Tribunale internazionale dell’Aja per chiedere il rispetto della sua integrità territoriale. Il voto dell’Assemblea, si prevedono 140 voti a favore su un minimo di 130, potrebbe far passare la Palestina dalla sua attuale condizione di ‘osservatore non permanente’ a quello di ‘osservatore permanente’ come Stato non membro, analogo alla Santa Sede. Il veto statunitense potrebbe rappresentare un problema: se fosse di 14 a 1, come già successo agli Usa in passato, inasprirebbe i rapporti americani con il mondo arabo, che è l’esatto contrario di quello che Obama si proponeva nel suo discorso del Cairo nel giugno 2009. E ciò accadrebbe in un momento difficile per la regione mediorientale attraversata da manifestazioni, proteste e cadute di regimi”.
Se la posizione degli Usa è chiara, quale potrebbe essere quella dell’Ue?
“In questo momento tra i Paesi membri dell’Ue non esiste una posizione unica sulla richiesta palestinese. Francia e Inghilterra sarebbero favorevoli, Germania e Italia avrebbero annunciato un voto contrario. C’è anche chi ha suggerito all’Ue di avanzare proposte d’integrazione della risoluzione che diano garanzie a Israele, ma non so quanto sia percorribile questa strada”.
Che riflessi potrebbe avere sullo scacchiere mediorientale, e in particolare su Israele, il riconoscimento Onu di uno Stato palestinese?
“La popolarità di Israele in tutto il Medio Oriente è al suo punto più basso e dilaga la sfiducia sulla volontà di Israele di fare la pace e di accettare la nascita di uno Stato palestinese. Oggi Israele ha quasi rotto le sue relazioni con la Turchia dopo l’attacco al traghetto Mavi Marmara del maggio 2010. L’Egitto attuale, che in un prossimo futuro potrebbe anche essere governato dalla fratellanza musulmana di cui Hamas è una costola, mostra atteggiamenti meno amichevoli di quelli di Mubarak. Analoga situazione in Giordania, Libano, Siria. Se, sul breve, Israele ha gestito i rapporti su un piano di forza, sul medio periodo il quadro diplomatico israeliano è di isolamento e di grave difficoltà. In questa situazione, il premier Netanyahu farebbe bene a chiedersi se causa di instabilità non sia proprio il blocco del processo diplomatico, di cui egli porta molta parte della responsabilità, con il suo ribadito rifiuto di accettare le proposte di mediazione avanzate da Obama e la testarda prosecuzione del processo di colonizzazione dei Territori palestinesi”.