Stato d’emergenza in Nigeria, massiccio dispiegamento di militari contro Boko Haram




R. – È un segnale che va in una duplice direzione. Verso lesterno, nei confronti degli altri Paesi africani e della Comunità internazionale, a testimonianza della capacità di Goodluck Jonathan di potersi presentare come candidato credibile per le prossime elezioni presidenziali, in calendario fra due anni, nel 2015. Questo si lega direttamente a questioni di politica interna: la legittimità sempre della sua candidatura, vista dal cartello delle opposizioni nigeriane che si sono riunite e trovano ovviamente terreno fertile anche presso quegli Stati federali del Nord dove Boko Haram è particolarmente attivo. Il rischio che lopposizione possa raggiungere la presidenza potrebbe essere uno dei motivi per farsi vedere come uomo forte.
D. – Abbiamo parlato di un segnale rivolto anche alle classi politiche del Nord, tuttavia le prima risposte non sembrano essere state positive per Goodluck Jonathan
R. – In Nigeria il ricambio del governo e la provenienza – degli stati meridionali, degli stati settentrionali – è al centro delle discussioni di politica interna da sempre. Un altro aspetto fondamentale è che comunque la Nigeria sembra uno Stato debole, rispetto al contesto in cui si trova, e vive – soprattutto la parte settentrionale – lungo la linea di faglia dello scontro anche con i qaedisti e i jihadisti che hanno favorito la secessione lo scorso anno della parte settentrionale del Mali. Costoro sono sicuramente interessati a stringere alleanze, armandosi sempre più.
D. – A livello del governo nigeriano, fino a poche settimane fa la soluzione più probabile sembrava però unamnistia per quei militanti di Boko Haram disposti a rinunciare alla violenza. Perché questo cambio di strategia? Si può pensare ad uninfluenza dellelemento militare?
R. – E molto verosimile che la componente delle forze armate insista per avere una maggiore visibilità. Unamnistia con il conseguente rilascio di 400 prigionieri era stata ventilata in marzo in primo luogo dal sultano di Sokoto, una delle massime autorità islamiche nella Nigeria settentrionale. In un primo momento aveva visto una certa reticenza da parte delle autorità federali e dello stesso presidente Goodluck Jonathan, ma poi ha visto il consenso crescente da parte di tutta una serie di altri attori della società civile nigeriana, tra cui anche molti leader religiosi. Ha incominciato ad essere accolta come possibile via per una soluzione. Probabilmente Goodluck Jonathan ha accettato lipotesi – perché molto supportata da altri – di lavorare su unamnistia, ma non era la sua strategia principale.
D. – Lintervento militare però rischia di non essere risolutivo. E non cè il pericolo che ad unemergenza già in corso nelle regioni del Nord, se ne aggiunga semplicemente unaltra?
R. – Senza dubbio. Il tentativo di un comitato ad hoc che lavorasse sullamnistia evidentemente è stato un coup de théâtre: le forze armate nigeriane sono le più importanti dellarea, vedono un coinvolgimento poco diretto nelle operazioni che la comunità internazionale ha favorito nel Mali e vogliono avere maggiore voce in capitolo. Paradossalmente la vogliono avere inizialmente per questioni interne, ma per ricordare ai Paesi confinanti e alla comunità internazionale che sono loro che dovrebbero fare la differenza in altri contesti prossimi o confinanti.