Paul Bhatti: Verità sugli attentati in Pakistan, ma tuteliamo le istituzioni
Lex ministro auspica che siano individuati e puniti gli autori dellattacco in cui è rimasto ferito il reporter Hamid Mir. Ma sottolinea al contempo i sacrifici compiuti dai militari e invita a non destabilizzare le istituzioni. Intanto in Pakistan si continua a morire: nella notte un commando armato ha ucciso Rashid Rehman, attivista di primo piano nella lotta contro la blasfemia.
Islamabad (AsiaNews) – “Condanniamo l’atto di violenza contro il giornalista, vittima di un attentato; ma, al contempo, è anche doveroso sottolineare i sacrifici compiuti dai militari [per il Paese]. Dietro l’attacco al reporter vi sono dei criminali, che il Pakistan di oggi non riesce a controllare e fermare”. È quanto afferma ad AsiaNews Paul Bhatti, ex ministro federale per l’Armonia nazionale e leader di All Pakistan Minorities Alliance (Apma), in merito alla vicenda che ha riguardato il reporter tv Hamid Mir, vittima di un attacco mirato il 19 aprile da paese di un gruppo di sconosciuti. Intanto nel Paese si registra un altro omicidio eccellente: vittima l’avvocato e attivista per i diritti umani Rashid Rehman (nella foto), in prima fila nella difesa degli imputati per blasfemia. Da tempo nel mirino dell’estremismo islamico, egli è stato ucciso la scorsa notte da un commando a Multan, nel Punjab. Coordinatore della Commissione per i diritti umani del Pakistan (Hrcp), egli era una figura di punta nell’attivismo e nella lotta per la libertà nel Paese asiatico. La società civile esprime cordoglio alla famiglia per una “perdita irreparabile” e annuncia per oggi una manifestazione di piazza.
Fra polemiche e scambi di accuse, prosegue intanto la vicenda che ha visto coinvolto il giornalista tv Hamid Mir. Nei giorni scorsi il giudice aggiunto Muhammad Jehangir Awan ha aperto un fascicolo di indagine contro GeoTv e il fratello Amir Mir, per diffamazione ai danni dei servizi segreti pakistani (Isi). Colleghi e famiglia raccontano che il cronista sarebbe finito nel mirino dei servizi per le indagini compiute sui fatti più controversi del recente passato. Egli è il volto più popolare del giornalismo televisivo in Pakistan, una delle nazioni al mondo – come testimonia una recente indagine di Reporter Senza Frontiere (Rsf) – più pericolose per i giornalisti.
Il portavoce dell’esercito, pur manifestando solidarietà al giornalista colpito, definisce le accuse della famiglia “frutto dell’emotività” del momento e bolla la condotta dei vertici di GeoTv come “irresponsabile”. Esperti di politica pakistana sottolineano che dietro la vicenda si gioca una vera e propria guerra nel mercato dei media nazionali – con GeoNews che detiene il 70% della pubblicità – mentre si rafforza il controllo di governo, vertici militari e istituzioni sulla stampa.
Hamid Mir ha testimoniato di fronte alla commissione di inchiesta a Karachi, chiamata a far luce sul suo attentato; egli è stato colpito per sei volte, ma i proiettili non hanno raggiunto punti vitali ed egli si è potuto salvare. Egli non ha voluto rilasciare dichiarazioni ufficiali di fronte ai tre uomini che formano la commissione, scelti fra servizi segreti e altre forze di sicurezza. Primo reporter ad intervistare Osama bin Laden dopo l’11 settembre, già nel 2012 è sopravvissuto ad un attentato di matrice talebana ed è stato più volte oggetto di minacce di morte da parte di gruppi islamisti.
Interpellato da AsiaNews sulla vicenda Paul Bhatti – fratello dell’ex ministro federale per le Minoranze Shahbaz, massacrato dagli estremisti islamici nel marzo 2011 per essersi opposto agli abusi in nome della blasfemia – chiede “prove concrete per capire chi si cela dietro l’attacco”. L’attivista cattolico racconta che nella lotta al terrorismo “hanno perso la vita oltre 4mila persone”, dagli alti generali alle forze di polizia; per questo è necessario contrastare quanti “vogliono ulteriormente destabilizzare la regione”. I vertici di Apma, racconta il politico e attivista cattolico, chiedono che “sia fatta al più presto luce sulla vicenda e che i responsabili vengano catturati e puniti secondo la legge”; tuttavia, egli invita ad evitare accuse affrettate e prive di riscontri “contro alte istituzioni che finiscono per destabilizzare il Paese”.
Al contempo, l’ex ministro rilancia la politica del dialogo e conferma il progetto mirato alla nascita di un forum “in grado di controllare e combattere il fenomeno del terrorismo giustificato con il pretesto della religione”. Non ci si può limitare alla difesa delle minoranze per quanto importante, prosegue Bhatti, ma è altrettanto necessario contrastare il “preoccupante lavaggio del cervello che viene fatto ai bambini” in alcuni centri di addestramento al terrorismo. Reduce da un lungo tour che ha toccato Stati Uniti, Canada e vaticano, dove ha incontrato il segretario di Stato card Pietro Parolin, l’attivista cattolico conferma il “desiderio” di dare vita a una realtà in grado di coinvolgere anche Paesi musulmani moderati, come la Turchia, per “promuovere progetti e compiere passi concreti nel solco del dialogo, del confronto e dell’incontro”. In Pakistan, anche a livello governativo e fra le guide religiose musulmane, gli imam vi è un “terreno fertile per il cambiamento”, ma è necessario “il sostegno internazionale”. Per prevenire atti di violenza e accuse in nome della blasfemia, conclude, “non basta solo cambiare la legge sulla blasfemia, ma è necessario lavorare alla radice, convincere chi sostiene questa legge e instaurare un dialogo diretto” come avvenuto nel caso della giovane Rimsha Masih per la quale egli stesso si era speso in prima persona.(DS)
(Ha collaborato Shafique Khokhar)
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