La Basilica della Natività sotto l’Unesco; il Monte Tabor come “parco nazionale”. È tempo di salvare i Luoghi santi
di Joshua Lapide
L’accoglienza della Basilica della Natività nella lista del “Patrimonio dell’umanità” è accolta con soddisfazione dei cattolici perché la chiesa ha urgente bisogno di restauro, finora frenato dalla comunità ortodossa. Importante garantire “l’integrità architettonica” per evitare scempi come quello compiuto nel Santo Sepolcro con la costruzione del Katholikon. È anche importante vigilare sui tentativi israeliani di mettere “sotto la protezione dello Stato” i Luoghi santi della Galilea.
Gerusalemme (AsiaNews) – L’inserimento della Chiesa della Natività a Betlemme fra i siti “patrimonio dell’umanità” da parte dell’Unesco, ripropone il problema e la precarietà dei Luoghi santi spesso sottoposti a ingerenze ingiuste dalle stesse comunità cristiane e dalle autorità israeliane e palestinesi.
Cominciamo con la Basilica della Natività. Il Custode di Terra Santa, p. Pierbattista Pizzaballa, ha espresso un cauto ottimismo sulla vicenda. Ma fra i cristiani – soprattutto i cattolici – vi è meno cautela ed essi esprimono soddisfazione per il riconoscimento dell’Unesco. In questo modo, infatti, l’Autorità palestinese avrà possibilità di lanciare una campagna internazionale per raccogliere le offerte necessarie al restauro e soprattutto alla riparazione del tetto della basilica, che necessita un urgente intervento.
La Basilica della Natività – con quella del Santo Sepolcro a Gerusalemme e la cripta della Tomba di Maria ai piedi del Monte degli Ulivi – sottostanno al regime giuridico internazionale noto come “Status quo”. Non risulta che la Chiesa cattolica o altre comunità cristiane abbiano titolo di proprietà sulla Basilica. Vi è piuttosto è una complessa distribuzione di diritti di possesso, uso, officiatura, della cui osservanza è garante lo Stato. Questi ha anche il dovere di intervenire per far osservare lo Status quo nel caso ci siano o si temano violazioni; per garantire la solidità ed agibilità degli edifici qualora non ci sia unanimità tra le Chiese principali lì presenti. Tali Chiese sono: il Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme; la Custodia francescana di Terra Santa (che, per mandato pontificio, vi rappresenta la Chiesa Cattolica); il Patriarcato armeno ortodosso di Gerusalemme.
Fino ad ora, proprio i greco-ortodossi avevano ostacolato ogni intervento comune per riparare il tetto della Basilica, che ne ha bisogno urgente. Se ci fosse stato l’accordo fra di loro, le tre comunità avrebbero dovuto riparare in proprio l’edificio pericolante (come in un passato non lontano è stato fatto nella Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme). Ma la mancanza di accordo e lo stato di pericolo del tetto ha obbligato l’Autorità nazionale palestinese ad intervenire e a provvedere per il restauro.
Da un certo punto di vista, perciò, la mossa palestinese di far dichiarare all’Unesco la Basilica della Natività quale “patrimonio dell’umanità” salva il Luogo santo e rende più facile reperire la copertura economica necessaria, molto dispendiosa. Inoltre, le comunità cristiane che officiano alla Natività hanno ricevuto la garanzia scritta che l’Anp non intralcerà l’uso della Basilica e anzi garantirà lo svolgimento delle funzioni secondo lo “Status quo”; il che del resto è garantito nell’Articolo 4 dell’ Accordo di Base tra la Santa Sede e l’Olp (2000).
Fra i cattolici vi sono coloro che dall’Unesco si attendono qualcosa di più: l’inclusione della Basilica della Natività nel Patrimonio dell’umanità dovrebbe garantire anche l’integrità architettonica del Luogo santo. E questo per evitare che anche nella Basilica della Natività avvengano in futuro degli scempi come quello che è avvenuto nella Basilica del Santo Sepolcro. Essa è un bellissimo gioiello di epoca crociata a pianta circolare. Ma alcuni decenni fa, proprio i greco-ortodossi hanno innalzato il cosiddetto Katholikon, due mura che racchiudono un sacello e che ha sconvolto lo spazio architettonico dell’edificio. Ormai, quando uno entra dalla porta e incontra la cosiddetta Pietra dell’unzione, non si trova davanti la corona di colonne attorno all’edicola del Santo Sepolcro, ma un semplice, banale muro, che distrugge la logica architettonica della chiesa più importante della cristianità.
Per tutti i Luoghi santi non di proprietà delle singole Chiese, è importante che venga perciò garantito nel presente e nel futuro l’integrità architettonica.
Vi è però la stragrande maggioranza dei Luoghi santi (in effetti, tutti gli altri, che non sono retti dallo “Status quo”) di proprietà delle singole Chiese. In quanto proprietà privata, essi non devono essere assunti da nessuno Stato per farne in alcun senso Patrimonio di alcuno, anche se essi per sé rivestono un’importanza mondiale. Da tempo, ad esempio, lo Stato israeliano spinge perché alcuni Luoghi santi come il Monte Tabor, Cafarnao, e altri santuari cattolici della Galilea vengano messi sotto la “protezione” dello Stato. La Chiesa cattolica si oppone per principio: essi sono proprietà privata degli enti ecclesiastici e non possono in alcun senso essere ceduti ad altri. Del resto, non si capisce che valore avrebbe la “protezione”: proteggere da chi? Se lo Stato vuole proteggerli, basta che li rispetti e faccia magari azioni in positivo, senza pretendere di intromettersi, rischiando interferenze indebite.
Da questo punto di vista, la decisione dell’Unesco di accogliere la Basilica della Natività nel Patrimonio universale, pur positiva, rischia di offrire un sostegno e un pretesto ai tentativi di nazionalizzazione di altri santuari in Israele e Palestina.
Per questo, la Chiesa cattolica insiste da tempo perché si tolga, ad esempio, la definizione di “parco nazionale” al Monte Tabor e ad altri maggiori santuari in Galilea, proprio perché questi sono santuari cattolici e proprietà privata.
Rendere questi santuari dei “parchi nazionali” rischia di negare, negli effetti, la proprietà della Chiesa e minano il loro carattere sacro.
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