PRIMAVERA ARABA – ( 10 Maggio )

UE E PRIMAVERA ARABA
La scommessa
del dialogo
Libertà religiosa e politica comunitaria: incontro a Bruxelles
 
“La libertà religiosa è il nocciolo per fare politica dentro e fuori l’Europa; è un valore da difendere a prescindere dal luogo”. Lo ha detto ieri a Bruxelles Jan Olbrycht, vicepresidente del Gruppo europarlamentare dei popolari europei (Epp), nel corso del seminario di studio “I cristiani nel mondo arabo, un anno dopo la primavera araba”, promosso dalla Comece, dall’Epp e dal Gruppo europarlamentare conservatore e riformista (Ecr). Incontro che è servito a focalizzare l’attenzione sui riflessi che i sommovimenti politici in atto in alcuni Paesi mediorientali stanno avendo sulle comunità cristiane locali.
 
Preoccupazione. Gli europarlamentari, a riguardo, hanno espresso motivi di preoccupazione specialmente per quello che riguarda il rispetto dei diritti e della libertà, quella religiosa su tutte. La Primavera araba, che sta avendo una deriva islamista, non sembra rispondere alle attese di rinascita democratica. “Siamo preoccupati per quello che succede alla minoranza cristiana nel mondo arabo” ha affermato Olbrycht cui ha fatto eco il suo collega, Konrad Szymanski. Per quest’ultimo “non c’è stato sollievo per i cristiani in Medio Oriente con la primavera araba. La loro persecuzione è una verità amara che l’Ue non può tacere, così come non può restare in silenzio davanti alla negazione dei diritti delle altre minoranze”. “La diplomazia europea deve lavorare per ottenere il rispetto dei diritti civili – ha chiesto a gran voce il deputato europeo – la credibilità dell’Ue passa anche attraverso questo impegno”. “Riconoscere la libertà religiosa è un bene per tutti – ha ricordato Mario Mauro, del Gruppo dei popolari – non ci sarà libertà per il mondo arabo senza libertà per gli arabi cristiani. Senza il rispetto di libertà come quella religiosa vengono meno le prerogative di sviluppo degli stessi Paesi mediorientali. Per ottenerle il dialogo resta lo strumento migliore”. La presenza cristiana in Medio Oriente, però, non solo una questione di numeri, come ha sottolineato Dimyanos Kattar, già ministro dell’economia libanese: “l’Europa non guardi al numero sempre più ristretto dei cristiani in Medio Oriente ma guardi soprattutto alla loro qualità. In Libano il 64% del gettito fiscale proviene dai cristiani. Se l’Ue mostrerà un vero interesse per il Medio Oriente allora le cose potranno evolversi positivamente”.
 
Dialogo di vita. Ma come porsi, allora, davanti alla primavera araba, da alcuni accolta con gioia e speranza e da altri con grande paura? Secondo il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, presente al seminario della Comece, “non bisogna generalizzare, mostrando paura o gioia, né tantomeno attendersi un cambiamento istantaneo del mondo arabo”. Serve “evitare panico e polarizzazioni a vantaggio del dialogo, unico strumento per attenuare tensioni e risolvere problemi che pure ci sono e non vanno nascosti”. “Per 40 anni diversi Paesi mediorientali hanno goduto di immobilismo ed ora con la primavera araba non si può pensare a immediate e serene dinamiche sociali” ha spiegato il francescano che ha evidenziato l’esistenza di “cambiamenti che suscitano preoccupazioni come le Costituzioni che si vanno riscrivendo e nelle quali anche i partiti devono rientrare”. Lungi dal generalizzare la situazione nella regione, “la Siria è diversa dall’Iraq e lo stesso vale per l’Egitto”, non si possono negare le tensioni tra musulmani e cristiani che “non vanno separati ma uniti dal dialogo”. L’invito al dialogo “non è su temi di fede ma di vita”, ha specificato il Custode, che da oltre 20 anni vive a Gerusalemme, in particolare sul tema della “piena cittadinanza come il Sinodo per il Medio Oriente del 2010 ha messo bene in evidenza. Dialogare, per esempio, sui diritti del lavoratori, sulle libertà. Ci sono – ha detto Pizzaballa – religiosi musulmani con i quali è un piacere dialogare. Non ci sono solo persecuzioni. Evitiamo panico e polarizzazioni senza cadere in facili irenismi. I cristiani – ha concluso – sono parte integrante di questi Paesi, e hanno contribuito alla loro identità e costruzione. Ed oggi, come allora, continuare a dare questo contributo è possibile”. Una posizione analoga espressa poco prima anche dall’ arcivescovo maronita di Cipro mons. Youssef Soueif, per il quale “ogni evoluzione deve sfociare in uno sviluppo del singolo e della comunità, e ciò accadrà solo se va nel segno della democrazia e della libertà”. Parlando della Primavera araba, il maronita ha ribadito che “il rispetto delle libertà di coscienza, di religione, di opinione, giudicherà quanto sta accadendo. Stabilire tali valori nelle Costituzioni sarà indicativo della direzione presa da tale movimento”. “I cristiani sono quindi chiamati a sostenere le tendenza di apertura e non di chiusura. Sostenere la violenza non risolve – ha concluso – non c’è possibilità di sviluppo senza democrazia, senza il rispetto della dignità e della libertà”.
 
Unire e non separare. “Non possiamo separare le comunità cristiane da quelle vicine, non possiamo migliorare la vita dei cristiani senza considerare il contesto in cui queste vivono”, è stato l’appello finale di mons. Piotr Mazurkiewicz, segretario generale della Comece. “Un mondo arabo senza cristiani sarebbe uno scenario catastrofico per l’Oriente e l’Occidente in quanto rappresenterebbe la fine dell’arabità, inglobata dalla cultura religiosa islamica. Né l’Islam, né l’Europa potrebbero sostenere una tale situazione”.
 
a cura di Daniele Rocchi, inviato Sir a Bruxelles
 
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