SIRIA – ( 13 Dicembre )

Ondata di attentati in Siria. L’opposizione riconosciuta dagli Amici della Siria



Non si placa la violenza in Siria. Quattro le esplosioni che ieri hanno investito Damasco – tre davanti al ministero dell’interno – in tutto il Paese sono circa 50 le vittime. Intanto una fonte vicina all’amministrazione Obama ha confermato che l’esercito siriano sta impiegando missili scud e importanti novità arrivano sul fronte diplomatico. Il servizio di Marina Calculli: RealAudioMP3

Il gruppo dei Paesi cosiddetti “Amici della Siria”, riuniti ieri a Marakesh, ha riconosciuto la Coalizione nazionale guidata dallo Sceicco al-Khatib come l’unica autorità legittima del Paese. Un altro duro colpo per Assad, dopo che già Inghilterra, Francia, e poi successivamente l’intera Unione Europea e anche gli Stati Uniti avevano riconosciuto l’opposizione. Washington ha anzi invitato il suo leader a recarsi in America. Intanto sul terreno i combattimenti tra esercito e ribelli continuano. Un attentato durissimo ha colpito il Ministero dell’Interno a Damasco, con tre esplosioni ad altissimo potenziale, una di queste causata un’autobomba. Il bilancio è di 11 morti e 50 feriti secondo fonti della sicurezza. Il ministro dell’Interno al-Chaar e i suoi funzionari non sono stati toccati dall’esplosione. Nella mattinata di ieri altre due autobombe erano esplose nei sobborghi mediorientali della capitale. Nel frattempo il procuratore generale a Damasco ha emesso un mandato di cattura per Saad Hariri, leader sunnita della coalizione parlamentare libanese ostile al regime di Assad. L’accusa è quella di aver fornito armi ai ribelli.

Alle oltre 40 mila vittime, dall’inizio della guerra civile, si aggiungono le centinaia di migliaia di profughi. E in molti si chiedono perché la Corte Penale Internazionale non intervenga di fronte a questi crimini e all’evidente violazione di diritti umani. Giancarlo La Vella ne ha parlato con il vicepresidente della Corte, il giudice Cuno Tarfùsser, ieri a Roma per una conferenza sulle prospettive future dell’organismo di giustizia internazionale: RealAudioMP3

R. – C’è chi vorrebbe una giustizia forte e chi meno invadente. Io posso dire, da parte mia, che sono orgoglioso di essere in questa struttura, che ha una giurisdizione e un occhio attento sul mondo, e cerco di dare il mio contributo per farla crescere. Sta poi ad altri giudicare. Evidentemente, la politica ha una voce molto condizionante anche su questa struttura: si capisce che dietro ciò che facciamo c’è tutto un mondo molto articolato. Però, è una sfida straordinaria e io sono molto orgoglioso di farne parte.
D. – Come vede l’impossibilità di intervenire in una realtà così drammatica come quella della Siria?
R. – Quella siriana è una questione drammatica che vivo, come tutti, sotto il profilo umano e come cittadino. Come giudice della Corte, devo però attenermi a delle regole e noi non abbiamo giurisdizione su situazioni e su Stati che non abbiano ratificato lo Statuto della Corte. E questo è il caso della Siria. L’unico modo per poter compiere delle indagini in Siria sarebbe attraverso la decisione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che ci riferisse il caso e quindi ci assegnasse la questione con una risoluzione. Questa risoluzione viene, però, dall’inizio della crisi bloccata dalla Russia e dalla Cina. Quindi, come giudice non posso fare altro che prendere atto, con rammarico, di questa situazione politica che non permette a noi di operare. Come cittadino, sono ugualmente costernato di fronte a quello che succede.
D. – Come fare a rafforzare l’azione cogente della Corte penale: ad esempio, il mandato di cattura contro il presidente sudanese, al-Bashir, è rimasto lettera morta…
R. – Credo che lo sviluppo della Corte penale internazionale sia un qualcosa che avviene nel tempo, come tutte le cose a livello mondiale. Ci vuole il consenso, ci vuole la rinuncia a un po’ di sovranità: ci vogliono tante cose, che evidentemente non si possono ottenere solo accendendo e spegnendo un interruttore. Già il fatto che la Corte penale esista, è una cosa grandissima: dieci anni fa nessuno ci avrebbe scommesso sull’esistenza oggi di questa Corte e sul suo funzionamento, seppur ancora in maniera imperfetta. Per quanto riguarda la questione al-Bashir: fin quanto il capo di Stato è tale, sarà difficile che qualcuno lo arresti. Io confido, però, che sia soltanto una questione di tempo. Anche di Charles Taylor si diceva che non si sarebbe mai riuscito a catturarlo e adesso, invece, è condannato. Ma io credo che tra qualche anno probabilmente parleremo di questa cosa in termini completamente diversi. Anche di Milosevic nessuno pensava che un giorno sarebbe arrivato davanti al Tribunale dell’ex-Jugoslavi. Così come Karadzic, Mladic e altri. La giustizia è ontologicamente lenta, ma è anche ontologicamente inesorabili.

 
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