SIRIA – (16 Dicembre 2016)

Aleppo, fine della battaglia Non della guerra

di Giorgio Bernardelli

16-12-2016
 
Aleppo, l'evacuzione

Le colonne dei pullman verdi escono da Aleppo ridotta in macerie in direzione Idlib. Vanno e vengono trasportando miliziani, feriti e anche donne e bambini: escono dagli ultimi quartieri controllati dai ribelli per andare nella regione più vicina controllata dalle stesse milizie. Era l’esito annunciato della battaglia per il controllo della seconda città della Siria. Quello che – con un minimo di realismo – sarebbe potuto andare in scena già settimane fa. Bastava solo che la Turchia – con una dose in meno di cinismo – non avesse aspettato l’ultimo secondo per negoziare con la Russia la resa delle milizie che per anni ha incoraggiato e radicalizzato, prima di scaricarle perché oggi è diventato più importante occuparsi dei curdi.

Ad Aleppo è finita: dopo quattro anni le forze fedeli a Bashar al Assad, con il sostegno decisivo dell’aviazione russa e delle forze sciite, hanno ripreso il controllo di tutta la città. Ritornano a respirare anche gli abitanti di Aleppo Ovest, quelli contro cui erano i ribelli a sparare i loro razzi più o meno rudimentali (gli ultimi appena tre giorni fa), ma le cui vittime e macerie abbiamo visto molto di meno nei servizi dei tg. Sono loro ad aver festeggiato in queste ore un incubo che stava finendo; ma hanno anche accolto migliaia di concittadini che quando hanno potuto scegliere di abbandonare al loro destino i jihadisti asserragliati intorno alle loro case si sono riversati dall’altra parte.

Questo esito della battaglia di Aleppo significa, allora, che la guerra in Siria sta finendo? È la domanda vera che dovremmo porci oggi, invece di continuare soltanto a battagliare su quanto è successo fino a ieri. Perché la fase che si apre ora non è meno delicata rispetto a quella di ieri. E c’è il rischio concreto che possa riservare altre sorprese amare.

Il quadro resta infatti molto confuso e proprio le vicende di queste ore lo hanno confermato. Come dicevamo sopra a trattare l’evacuazione degli ultimi contingenti di miliziani anti Assad sono stati la Russia e la Turchia. Con le milizie sciite che hanno cercato fino all’ultimo di opporsi all’accordo, che probabilmente lo stesso Assad ha dovuto ingoiare. Perché il nodo vero oggi è: che succede ora nella provincia di Idlib? Il presidente siriano ha dichiarato più volte la sua intenzione di riprendere il controllo di tutto il Paese. Ma questa non sembra proprio essere l’intenzione di Mosca, che ha sempre limitato la sua prospettiva alla stabilizzazione del governo di Damasco attraverso la riconquista di Aleppo. Dall’estate scorsa – poi – Putin coltiva un canale preferenziale con Ankara, nell’ottica di un’influenza geopolitica nella regione ben più vasta rispetto alla sola Siria. Questo – concretamente – si è tradotto nel via libera politicamente pesante all’ingresso dei tank turchi nella regione a nord di Aleppo per fermare l’avanzata delle milizie curde, sostenute da Washington, che stavano per assumere il controllo di tutta l’area al confine con la Turchia.

L’accordo sulla resa di Aleppo dice dunque una cosa molto chiara: il futuro della Siria la Russia – che con il suo impegno sul campo dal settembre 2015 ha ribaltato le sorti del conflitto – non lo deciderà solo con Assad e l’Iran; della partita sarà anche la Turchia di Erdogan, che oggi punta a incassare l’ennesimo dividendo politico in qualità di garante dei sunniti. Non a caso ieri il ministro degli Esteri di Ankara Cavusoglu ha già annunciato che il 27 dicembre a Mosca si terrà un vertice a tre sulla Siria con le delegazioni di Russia, Iran e Turchia. E a quel tavolo potrebbe aggiungersi presto anche l’amministrazione Trump, che ha tutto l’interesse a porre le basi per un’intesa ad ampio raggio in Medio Oriente, sulla base della quale liquidare davvero ciò che resta dell’Isis.

Sulla carta – dunque – la caduta di Aleppo riporta in primo piano la politica (persino al Francia ieri sera ha lanciato un appello alla ripresa dei negoziati). Ma la strada resta tutta in salita, perché ciascuno in Siria ha combattuto la propria guerra con i propri obiettivi. E non è affatto detto che tra quelli che oggi appaiono come i vincitori siano gli stessi.

Infine un’ultima osservazione: oggi che ad Aleppo le armi tacciono almeno un pensiero varrebbe la pena di rivolgerlo a chi in questi anni di inferno è sparito nel nulla. A partire dai due vescovi della città rapiti il 22 aprile 2013, il siro ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e il greco ortodosso Boulos Yazigi. C’è più di una ragione per ritenere che la Turchia sappia molte cose sulla loro sorte. Oggi che siede ai tavoli che contano sarebbe ora di farselo raccontare.

Il testo originale e completo si trova su:

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-aleppo-fine-della-battaglia-non-della-guerra-18388.htm

condividi su