Lo riferiscono fonti dell’opposizione che parlano di un’escalation senza precedenti. Una svolta cominciata con i duri scontri di domenica, diventati ancora più violenti oggi. “L’esercito sta cercando di entrare ad al-Midan da due lati: ci sono molti feriti e alcune vittime, abbiamo bisogno di donazioni di sangue” ha detto un attivista sul posto, identificatosi come Abu Musab.
Gli scontri infuriano anche nel sud della capitale, a Tadoman, Kfar Souseh più a ovest e a est a Jobar. C’è chi parla ormai apertamente di “zona di guerra”: ribelli e abitanti sono in fuga da Tadoman, in cerca di scampo nel vicino campo profughi palestinese di Yarmuk. Un quotidiano filogovernativo, al-Watan,scrive che l’esercito sta cercando di contenere gli attacchi di “gruppi terroristici” e accusato i ribelli di voler sferrare “la grande battaglia di Damasco”.
Secondo un altro attivista, gli abitanti del quartiere sono rintanati nelle case e gli unici movimenti in zona sono quelli dei militari e dei blindati, e dei ribelli nei vicoli del quartiere vecchio. Fonti dell’opposizione raccontano che gli abitanti di Nahir Aisheh, un povero quartiere sunnita a sud di al-Midan, hanno bloccato la principale arteria di collegamento tra Damasco ed Amman con pietre e pneumatici incendiati per cercare di aiutare ad alleviare la pressione su Midan.
La gravità della situazione è riconosciuta dal Comitato internazionale della Croce Rossa che parla apertamente di “guerra civile” per tutto il Paese, e non solo per le aree di Homs, Hama e Idlib. “Adesso, ogni volta in cui là si combatte, constatiamo l’esistenza di condizioni tali da poter essere definite un conflitto armato non-internazionale”, ha spiegato un portavoce dell’organizzazione umanitaria, Alexis Heeb. Sempre secondo il portavoce della Croce Rossa, ciò implica che “si applicano le norme del diritto internazionale umanitario”, specie per quanto riguarda il trattamento dei civili e dei feriti previsto dalle Convenzoni di Ginevra in materia, e dunque i contendenti da ambedue le parti rischiano più facilmente di essere perseguiti per crimini di guerra e altri reati.
Un dramma che si consuma mentre gli incontri e i tentativi di mediazione da parte delle Nazioni unite affrontano lennesimo stallo. Il ministro degli esteri russo, Serghei Lavrov, ha spiegato che è irrealistico convincere il presidente siriano Bashar al-Assad a dimettersi: Assad non uscirà di scena non perché noi lo difendiamo, ma perché dalla sua parte cè una percentuale significativa della popolazione siriana, ha spiegato in una conferenza stampa poco prima dellarrivo a Mosca dellinviato speciale Onu e Lega araba per la Siria, Kofi Annan.
Il capo della diplomazia russa rincara la dose. Lavrov ritiene che ci siano “elementi di ricatto” nel legame tra il prolungamento della missione Onu in Siria e le possibili sanzioni, come previsto da un progetto occidentale di risoluzione Onu . “Con grande dispiacere si intravedono elementi di ricatto: ci dicono ‘se voi non darete al vostro consenso alla risoluzione della risoluzione, noi rinunceremo a prolungare il mandato della missione degli osservatori in Siria”, ha spiegato.
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