SIRIA – (17 Aprile 2018)

Un'immagine di Duma, alla periferia di Damasco
Un’immagine di Duma, alla periferia di Damasco  (AFP or licensors)

Siria, mons. Abou Khazen: grande problema sanitario, mancano medicine

Nonostante elettricità ed acqua stiano tornando l’emergenza non è finita, dice il vicario apostolico di Aleppo dei latini. Domani, aggiunge, dovrebbero entrare a Duma gli ispettori Opac per indagare sul presunto attacco chimico

Giada Aquilino – Città del Vaticano

Si sposta sugli ispettori dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) arrivati in Siria l’attenzione internazionale di queste ore. Giunti a Damasco, gli inviato dell’Onu dovrebbero accedere a Duma, il sobborgo della capitale siriana colpito il 7 aprile scorso dal presunto attacco chimico delle forze del presidente Bashar al Assad: lì dovrebbero raccogliere campioni biologici e testimonianze necessarie a stabilire quanto accaduto, a partire dall’uso o non di armi letali cariche di gas come il cloro e il sarin. Secondo la Russia, alleata del regime di Damasco, prima di domani non potranno farlo. “È stata inviata una commissione di ispettori per indagare” ma Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia “non hanno aspettato neanche il risultato dell’inchiesta e hanno attaccato”, commenta mons. Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo dei latini. Gli ispettori dovranno capire “se davvero il governo ha usato gas chimici o – aggiunge – lo hanno fatto altri. A Duma ora è entrata la polizia siriana e ci sono anche i russi. Forse domani entreranno” i membri dell’Opac, mentre “ieri sono entrati gli inviati dell’agenzia Reuters”, prosegue il vescovo.

Non basta l’impegno di Chiesa, Croce Rossa e Mezzaluna

Dal punto di vista umanitario la situazione “sta lentamente migliorando”, racconta mons. Abou Khazen: “ad Aleppo l’elettricità è disponibile per più di quindici ore al giorno ormai e lo stesso vale per l’acqua”. Ma la crisi non è finita: “naturalmente resta l’emergenza, perché ci sono la disoccupazione, l’inflazione, il carovita e c’è l’embargo, con le sanzioni contro la Siria. Anche dal punto di vista medico – prosegue il presule – c’è da tenere in considerazione questo aspetto: le sanzioni impediscono alle medicine di arrivare in Siria. Quindi quello sanitario rimane un grande problema, soprattutto per le famiglie. Con gli aiuti offerti dalla Chiesa, dalla Croce Rossa Internazionale e dalla Mezzaluna Rossa siriana, si può andare avanti. Le difficoltà cominciano quando insorge la malattia, si deve fare un’operazione oppure quando si devono prendere delle medicine specifiche, che non si trovano in Siria”. Proprio in queste ore Medici Senza Frontiere parla di quasi 60 mila persone fuggite dalla Ghouta orientale in meno di un mese, molte delle quali ferite dai combattimenti e bisognose di cure. In un solo giorno, riferisce l’organizzazione internazionale, l’ospedale di Qalaat Al Madiq, supportato da Msf in un’area di confine in Siria nord-occidentale, ha aperto le porte della propria struttura a 5.000 persone. Nonostante l’assistenza fornita, aggiungono gli operatori sul posto, “molti pazienti, come i bambini malnutriti, richiedono cure specializzate” impossibili da fornire in zona.

L’appello del Papa

Domenica scorsa, al Regina Coeli, ancora una volta Papa Francesco ha auspicato “un’azione comune” in favore della riconciliazione in Siria, appellandosi “a tutti i responsabili politici, perché prevalgano la giustizia e la pace”.Le parole del Pontefice – dice mons. Georges Abou Khazen – ci danno coraggio e speranza, perché forse la sua è l’unica voce che richiama al dialogo e alla pace. Noi – ci tiene a precisare il presule – stiamo dicendo per l’ottavo anno consecutivo di non dare armi” a chi combatte. “Abbiamo avuto in Siria 100 mila combattenti stranieri: chi li ha fatti entrare in Siria? Chi li ha addestrati? Chi ha dato loro le armi e il denaro?” si chiede il vicario apostolico di Aleppo dei latini. “Veramente, come dice il Santo Padre, forse l’unico mezzo che abbiamo e che ci resta è la preghiera. E tutti quanti ci dobbiamo impegnare per vivere in pace”, conclude. E rilancia un appello: “aiutateci a stare insieme, a dialogare, a parlare”.

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