SIRIA – ( 18 Ottobre )

Siria, si lavora a una tregua. L’analista: è un test per futuri accordi con Damasco


In Siria, proseguono le schermaglie armate con la Turchia, mentre il conflitto interno continua a provocare vittime. Di fronte a questa situazione, sempre più difficile, non si affievolisce la speranza della comunità internazionale di trovare una via d’uscita alla crisi. C’è attesa per la nuova tregua che il mediatore di Onu e Lega Araba, Lakhdar Brahimi, proporrà sabato prossimo a Damasco. Favorevole all’ipotesi l’Iran. Ma quali gli ostacoli ad un cessate-il-fuoco in Siria? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Paolo Quercia, analista internazionale.RealAudioMP3

R. – Per adesso si sta lavorando su un cessate-il-fuoco, in occasione di una festività, che dura pochi giorni, per cui è presto per parlare di tregua. In realtà, è un importante test per verificare se ci sia la possibilità di un accordo politico, perché i principali Paesi coinvolti nel conflitto siriano, soprattutto quelli regionali – Iraq, Iran, Egitto e Arabia Saudita – stanno cercando di verificare un accordo politico. Quindi, la tregua servirà anche a questo, e probabilmente anche a verificare se nel fronte antigovernativo esistono gruppi che non vogliono portare avanti una tregua.

D. – C’è l’assenso non dichiarato delle grandi potenze, sia quelle che appoggiano Assad sia quelle contrarie al regime di Damasco?

R. – Sì, sembra che ci sia, seppure informalmente. Quindi, questa è la principale differenza rispetto ai tentativi precedenti. Questa volta sembra, dunque, più vicina la possibilità di una tregua, perlomeno di un’interruzione dei combattimenti.

D. – Se da una parte Brahimi ha come interlocutore il governo di Damasco, dall’altra c’è una schiera di oppositori al regime con anime diverse. Questa è una difficoltà in più?

R. – Esatto. Io credo che la tregua servirà anche a verificare se tutte le componenti antiregime la rispetteranno. Quindi, che livello di coerenza ci sia tra gli oppositori. Perché poi, in realtà, anche la componente militare unisce gruppi di combattimento, che hanno agende molto diverse tra di loro e sostegni internazionali molto diversi tra di loro, fino a movimenti che possiamo definire jihadisti e che quindi hanno agende molto diverse. Per cui, questa è la grande difficoltà: da un lato, c’è un regime che può essere identificato e, per quanto riguarda la parte antigovernativa, c’è una grande difficoltà di identificare l’interlocutore.

D. – L’aggravarsi in maniera esponenziale del dramma umanitario potrebbe accelerare l’ipotesi di un cessate-il-fuoco?

R. – Sicuramente, si registrano almeno 300 mila sfollati nei Paesi vicini, di cui 100 mila in Turchia. Il governo turco ha mandato dei segnali all’Europa, facendo presente che di questo problema dei profughi – che la Turchia, ma anche la Giordania e il Libano stanno gestendo ormai da circa 19 mesi – l’Unione Europea non si sta facendo carico e che pian piano bisognerebbe anche iniziare a porre il problema di un aiuto europeo per questo dramma umanitario. Sicuramente, questo è un elemento che può favorire ulteriormente il clima di una possibile tregua.

 
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