TUNISIA – ( 4 Aprile )

IL RITORNO DEL VELO/QUI PARIGI

Gli estremismi della ”laicité”
 
Un caso di cronaca ha riaperto il dibattito pubblico, tanto da spingere Hollande a ipotizzare una nuova legge, forse ancor più restrittiva. Padre Christophe Roucou, direttore del Servizio nazionale per le relazioni con l’Islam, invita alla prudenza perché la società non ha bisogno di scontri, tanto meno sul versante della libertà religiosa
 
Maria Chiara Biagioni

 
Quando in Francia per qualche motivo di cronaca minore si riapre la questione del velo indossato dalle donne musulmane, il dibattito si infiamma, diventa incandescente. La questione tocca nel cuore la Francia, perché mette a nudo un tema caro ai francesi che per decenni è stato al centro di dibattiti serrati: il tema della “laicité” dello Stato. La Francia è la terra dove vivono 4/5 milioni di musulmani, la cui stragrande maggioranza non è né straniera né immigrata. Sono cittadini francesi a tutti gli effetti, nati e cresciuti qui. Immigrati semmai di terza e quarta generazione. Lavorano, studiano, crescono i propri figli e rivendicano la libertà di esprimere il proprio credo. Il 19 marzo scorso una sentenza della Corte di Cassazione ha annullato il licenziamento di una puericultrice da un asilo nido privato: la donna era stata mandata via perché indossava il velo anche durante l’orario di lavoro. La Corte ha dovuto però respingere il provvedimento perché nel caso della signora musulmana si trattava di impresa privata e non pubblica. Ma la sentenza ha fatto andare in tilt la classe politica francese. Il ministro degli interni (e dei culti) ha parlato di una “messa in causa della laicità”. Il presidente del gruppo Ump all’Assemblea nazionale Christian Jacob, ha depositato giovedì scorso un nuovo progetto di legge e nello stesso giorno, qualche ora più tardi, il presidente della Repubblica François Hollande ne ha parlato in televisione affermando anche lui la necessità di riavviare un dibattito parlamentare per una nuova legge. Dunque, a dieci anni dai lavori della Commissione Stasi, la Repubblica di Francia si prepara a riaprire il delicato cantiere del divieto dei segni religiosi negli spazi pubblici e privati in nome della laicità. Erano passati solo tre anni da quando nel 2010 era esploso il caso del burqa, ma in quell’occasione il divieto era fondato sull’ordine pubblico (divieto cioè di nascondere il viso dietro il velo integrale) e non sulla laicità. Questa volta, invece, è tornata in campo la questione dell’espressione religiosa (il velo) in uno spazio privato (asilo nido). Il Sir ne ha parlato con padre Christophe Roucou, direttore del Servizio nazionale per le relazioni con l’Islam, grande conoscitore del mondo islamico.

Père Roucou ma che cosa è successo esattamente?
“Il Consiglio di Stato che è la più alta istituzione giuridica in Francia, ha preso due decisioni lo stesso giorno che per me sono chiare e significative perché ha vietato alle donne musulmane di indossare il velo in un ospedale pubblico ma non l’ha vietato in una struttura privata come l’asilo nido in questione. Credo che i giudici abbiano dato prova di saggezza, mantenendo nel nostro Paese una netta distinzione tra lo spazio pubblico e lo spazio privato. Da parte mia non comprendo la nuova offensiva che è partita dalle correnti dei laicisti più radicali perché non vedo ad oggi la pertinenza e l’utilità di aprire di nuovo un dibattito su questo soggetto”.

E allora perché si sta portando avanti di nuovo questa proposta?
“Non si tratta di laicità ma sotto la copertura della laicità, si mira a regolamentare ancora di più il comportamento dei musulmani nella società francese. Vedo quindi piuttosto il tentativo da parte della classe politica di assicurare forse alcune frange della popolazione ma ci si avventura in una strada pericolosa, quella di regolamentare la vita privata, rischiando così di toccare uno dei pilastri fondamentali della nostra Repubblica che è la libertà religiosa”.

Dunque la legge attuale va bene così com’è?
“Intanto bisogna dire che l’utilizzo del velo da parte delle donne musulmane non è tra le preoccupazioni principali dei francesi. Tre associazioni laiche – la lega dei musulmani, la lega dei diritti umani e la Libre Pensée – hanno preso posizioni contro ogni nuovo progetto di legge sulla laicità. La domanda allora è perché gli uomini politici si ostinano a riaprire un dibattito che rischia di dividere ancor più i francesi, che rischia di puntare il dito contro i musulmani in un momento in cui avremmo piuttosto bisogno di maggiore unità nazionale e legame sociale”.

Dov’è l’errore?
“Non so se è così anche in Italia, ma c’è un errore tipicamente francese: quello di credere e di pensare che con le leggi si possano risolvere problemi di comportamento e di mentalità. Tra l’altro, stiamo anche constatando un aumento di paura nei confronti dell’Islam e sentimenti anti-islamici nella società francese. E siamo preoccupati per questa deriva che è di natura piuttosto culturale. Quello che allora veramente vedo è piuttosto un rischio di comunitarismo: invece di andare verso l’integrazione della popolazione musulmana nella società francese, si va verso una rivendicazione sempre più forte delle identità religiose che rischia di infiammare i conflitti sommersi presenti nella società”.

Ma le donne musulmane francesi che cosa dicono? Come vivono il velo?
“Intanto bisogna chiarire che soltanto nelle correnti più radicali dell’Islam, si obbligano le donne a portare il velo. La maggioranza degli Imam sa perfettamente che non c’è alcun versetto nel Corano che sancisce quest’obbligo. Si sta però verificando in Francia un fenomeno nuovo: le ragazze e le giovani donne tendono a indossare il velo anche contro l’opinione stessa dei loro genitori e dietro a questo comportamento ci sono motivazioni molto diverse, difficili da riassumere in un’unica ipotesi. Nei quartieri popolari, per esempio, si tende a indossare il velo perché indica il bisogno da parte della donna di essere e di sentirsi rispettata, dunque in questo caso c’è piuttosto una motivazione sociologica. Per altre donne, il velo è indossato per scelta profondamente religiosa, per cui ha un significato spirituale che va rispettato. Per altre ancora è un indumento identitario, indica cioè l’appartenenza alla religione musulmana. Ha un significato rivendicativo. Insomma, quello che voglio dire è che il velo o il foulard in Francia non è assolutamente un problema. Lo è il velo integrale e lo è per motivi di ordine pubblico, ma in quel caso esiste una legge che lo regolamenta in maniera molto chiara”.

E allora come uscire da questo dibattito che in maniera ciclica si riapre?
“Lo si può risolvere solo partendo dal presupposto che se la Repubblica è laica, la società non lo è. E allora occorre – come diceva il filosofo Paul Ricoeur – fondare la laicità non sull’astensione da ogni segno religioso, ma su un processo lento, continuo di apertura al dibattito e al confronto”.

 
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