CENTRAFRICA – ( 10 Ottobre )

Centrafrica. 60 morti in scontri tra Seleka e gruppi di autodifesa. Appello alla pace di vescovi e leader musulmani



In Centrafrica, circa 60 persone sono state uccise, nelle ultime 24 ore, in scontri tra milizie di autodifesa locali ed ex ribelli musulmani “Seleka”. Le violenze si sono innescate nella zona mineraria di Garga, villaggio a 250 chilometri a Nord-Ovest della capitale Bangui. Secondo fonti ufficiali, tra le vittime ci sono molti civili, decine sono i feriti. Il servizio di Massimiliano Menichetti:RealAudioMP3

In Centrafrica la pace fatica a concretizzarsi. A poco sono valsi, finora, gli sforzi del presidente di transizione Michel Djotodia, impegnato a neutralizzare i miliziani “Seleka”, la coalizione di movimenti ribelli, ufficialmente sciolta a settembre, che ha preso il potere lo scorso marzo, costringendo alla fuga il Ccpo di Stato, Francois Bozizè. In molte località del Paese, si sono formati gruppi di autodifesa, che più volte hanno attaccato gli ex ribelli. Da qui le ritorsioni sanguinose dei gruppi armati molti dei quali provenienti dal Ciad e dal Sudan. 60 morti il bilancio dell’ultimo scontro a Garga, decine i feriti. Il presidente Djotodia ha più volte invocato un intervento internazionale rivolgendosi anche, tramite la Francia, al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Finora però senza risultato.


Sulla difficile situazione nel Paese, Massimiliano Menichetti ha intervistato suor Elianna, religiosa comboniana da due anni missionaria a Bangui:RealAudioMP3

R. – La situazione è molto complessa. Recentemente, nel mese di settembre, il presidente ha ufficialmente sciolto i “Seleka”, ma, quest’atto ufficiale in realtà non ha avuto conseguenze, perché il gruppo dei ribelli è composto da tante realtà che esistono tuttora. Questi gruppi continuano sostanzialmente a dettare la loro legge, ad attaccare le popolazioni, a rubare, a saccheggiare … E questo accade da mesi, ogni giorno, e tutto ciò provoca ribellione e rabbia che, purtroppo, in alcune zone sfocia nella formazione di gruppi di autodifesa che girano con fucili da caccia. Questo, sta aumentando la tensione tra la comunità cattolica e la comunità musulmana.

D. – Appunto leggiamo anche di scontri tra realtà cristiane e musulmane …

R. – Il problema è che i ribelli “Seleka” hanno sempre attaccato la comunità cattolica e quindi adesso questa reagisce contro la comunità musulmana. Le vendette sono “religiose”, anche se – ribadisco – il colpo di Stato di marzo, non ha origini religiose; purtroppo però sta sfociando in questo.

D. – Quindi bisogna lavorare affinché questo non accada …

R. – Sì, e si sta facendo, perché i vescovi continuano a insistere, a chiamare la popolazione a sentimenti costruttivi, di unità e di comunione; continuano a recarsi insieme – vescovi e rappresentanti della Chiesa protestante e della confessione musulmana – nelle zone vittime dei più gravi conflitti. Recentemente sono andati a Bossangoa, a Bangassou … Sollecitano la popolazione a costruire il futuro e a vivere il presente in questa prospettiva di dialogo e di convivenza, anche perché questa era la realtà fino al colpo di Stato.

D. – L’attuale presidente di transizione Djotodia ha anche chiesto l’intervento della comunità internazionale per cercare di sedare le violenze; finora nessuno risultato. Quale potrebbe essere una via?

R. – In questo momento – come ha sottolineato il gruppo dei rappresentati della Chiesa e della società civile che sono andati al summit delle Nazioni Unite a New York – è importante una presenza militare non centrafricana, dell’Onu. Serve efficacia nel disarmare questi ribelli. Questa situazione, che si protrae da mesi, sta generando violenza, povertà e miseria.

D. – E in questo contesto qual è l’azione delle comunità cristiane?

R. – Duplice direi. Da una parte, riportare l’assistenza primaria a queste popolazioni più toccate, ferite soprattutto per gli sfollati che hanno perso tutto e dall’altra parte, questo appello continuo al dialogo e alla comunione. In tutto questo contesto però non mancano i segni di speranza, che consentono di riprendere a vivere. Uno di questi è dato anche dalla vitalità della Chiesa, nonostante tutto. Un paio di settimane fa si è celebrato l’inizio dell’Anno pastorale con i rappresentanti di tutta la diocesi e con sette ordinazioni sacerdotali. Giovani che, nonostante hanno vissuto sulla loro pelle gli attacchi alla Chiesa, scelgono di dare la vita per il Vangelo e per un mondo più giusto e più fraterno. Penso che questo, in questa situazione, sia un segno e messaggio di grande speranza.

Testo proveniente dalla pagina

 

del sito Radio Vaticana
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