EGITTO – ( 23 Gennaio )

Piazza Tahrir un anno dopo

Oggi al Cairo riunita per la prima volta ”l’assemblea del popolo”

Si riunisce oggi, per la prima volta al Cairo, l’assemblea del popolo (Camera bassa), il primo Parlamento liberamente eletto da diversi decenni a questa parte. A riprendere questa seduta storica è “La voce del popolo”, canale televisivo che seguirà costantemente i lavori parlamentari. L’insediamento giunge ad un anno dallo scoppio della rivoluzione del 25 gennaio, che ebbe come epicentro piazza Tahrir. Tuttavia i “rivoluzionari”, nel corso delle elezioni legislative svoltesi tra la fine di novembre e l’inizio di gennaio, hanno raggranellato con la loro lista “Rivoluzione Continua”, solo sette seggi, al contrario della lista “Giustizia e Libertà” dei Fratelli Musulmani uscita vincente con 127 seggi, pari a circa il 40%, e dei salafiti di al-Nour con 96 seggi. Staccati il partito moderato del Wafd con 36 seggi e il Blocco egiziano con 33 seggi. A un anno dalla rivoluzione che ha deposto il faraone Mubarak, ora sotto processo, cosa è cambiato in Egitto? E cosa resta dello spirito della rivoluzione? Quali priorità attendono il Paese e i suoi circa 80 milioni di abitanti? Il SIR lo ha chiesto a padre Luciano Verdoscia, missionario comboniano che vive e opera al Cairo e con oltre venti anni di esperienza di vita nei Paesi musulmani.

Ad un anno dalla rivoluzione, cosa è cambiato in Egitto?
“Innanzitutto siamo passati da un regime dittatoriale a un assetto leggermente più democratico. Sottolineo il ‘leggermente’ poiché non sappiamo ancora l’evoluzione di questo processo di democratizzazione avviato con il voto. Sulle elezioni, poi, alcuni partiti hanno avanzato sospetti di frode elettorale che coinvolgerebbe una percentuale tra il 15% e il 20% dei voti. A ogni modo i risultati elettorali ci hanno consegnato un Egitto in mano al blocco islamista. Sarà da vedere come si svilupperà il governo e quale orientamento darà il partito guida, quello dei Fratelli Musulmani, vincitore alle urne”.

Cosa resta delle attese di piazza Tahrir?
“La rivoluzione è stata avviata dai giovani e dai movimenti e successivamente cavalcata dai Salafiti e dai Fratelli Musulmani che avevano già un’organizzazione alle spalle. Molti giovani hanno pagato, qualcuno lo sta ancora facendo, a causa delle posizioni assunte nelle manifestazioni e in contrasto con la giunta militare alla quale ora viene chiesto di lasciare il campo alle forze politiche. Una richiesta avanzata anche dall’Università di al-Azhar. Secondo alcuni il 25 gennaio sarà l’inizio della prossima rivoluzione, per altri un anniversario da celebrare. La partita è ancora tutta da giocare”.

Vede possibile un’alleanza dei Fratelli Musulmani con i Salafiti? O piuttosto una con i partiti liberali?
“Tra Salafiti e Fratelli Musulmani pare non corra buon sangue. Gli analisti propendono per una coalizione con i liberali ma bisogna aspettare. Non va, infatti, sottovalutato il peso dell’identità religiosa, sia islamica sia cristiana, che in Egitto è molto forte. Si deve poi ricordare che il 40% della popolazione egiziana è analfabeta e fortemente influenzabile. Fratelli Musulmani e Salafiti hanno lavorato in questi anni offrendo aiuto e sostegno ai ceti più poveri. Sarà interessante verificare quanto questi aspetti peseranno sulle scelte future, se ci sarà un governo religioso e se verranno sviluppati temi quali il rispetto delle minoranze e il diritto. Non si placano, infatti, provocazioni e violenze contro i cristiani che vanno poste anche nel quadro di una mancata integrazione”.

La sfida principale per il nuovo Egitto e le sue istituzioni è anche quella di rispondere alle attese della piazza che chiede giustizia sociale. In che modo?
“Migliorando la qualità della vita, garantendo lavoro, istruzione, sanità, cibo. L’economia è un punto nevralgico dello sviluppo. Se questo ripartirà, potremo vedere prospettive positive, altrimenti la piazza tornerà a scaldarsi. Resta poi l’incognita della giunta militare che in occasione del 25 gennaio ha graziato 1.959 detenuti, fra cui il blogger e attivista Maikel Nabil, condannato a due anni per oltraggio alle forze dell’ordine. Restano detenuti ancora 22 ufficiali dell’esercito accusati di non aver eseguito gli ordini impartiti dal loro comando. Ora sono in sciopero della fame. Vedremo cosa farà la Giunta militare in questa fase di transizione in cui la politica muove i suoi primi passi verso la democratizzazione del Paese”.

La rivoluzione egiziana
La scintilla della rivoluzione egiziana risale al 17 gennaio 2011, quando, sull’esempio dell’ambulante tunisino Mohamed Bouazizi, al Cairo un uomo si dà fuoco. Il 25 gennaio 25 mila manifestanti scendono in piazza per chiedere riforme politiche e sociali. La protesta si trasforma in uno scontro con le forze dell’ordine che provoca quattro vittime. Le notizie delle proteste, grazie anche a social network come Twitter e Facebook, si propagano rapidamente e avviano manifestazioni in altre città. Giovani affamati di giustizia, umiliati per anni dal potere, scendono sempre più numerosi in piazza. Epicentro della protesta è piazza Tahrir, al Cairo. Nuove proteste e scontri si verificano nei giorni seguenti, nonostante il governo li avesse vietati, con morti e feriti. Centinaia le persone arrestate. È il 29 gennaio quando i manifestanti cominciano a chiedere con forza le dimissioni del presidente Mubarak. Quest’ultimo il 31 gennaio dimette il suo Gabinetto. Il 1° febbraio a scendere nelle strade sono in milioni. L’11 febbraio Mubarak rassegna le sue dimissioni. Da questo momento il potere politico va al Consiglio supremo delle forze armate, composto da 18 militari e presieduto dal feldmaresciallo Mohammed Hoseyn Tantawi. Il 19 marzo si svolge il referendum sugli emendamenti alla Costituzione della Repubblica araba d’Egitto. I “sì” vincono con il 77,2%. Seguono, poi, tra la fine di novembre del 2011 e gennaio del 2012 le elezioni per la camera bassa. A fine gennaio sono previste, invece, le elezioni della Shura, l’assemblea consultiva.

Il testo completo si trova su:

 
condividi su