EGITTO – ( 6 Febbraio )

Egitto: critiche per la visita del presidente iraniano Ahmadinejad



Storica visita del presidente iraniano, Ahmadinejad, ieri in Egitto. Si tratta della prima volta di un capo di Stato di Teheran dalla rottura delle relazioni diplomatiche fra i due Paesi oltre 30 anni fa. Ad accoglierlo il presidente egiziano Morsi. E mentre in Egitto non si ferma la protesta nei confronti proprio di Morsi e della contestata islamizzazione, non sono mancate critiche nei confronti della visita del leader iraniano. In particolare il gran imam di Al Azhar, il più prestigioso centro teologico sunnita, Ahmed el Tayyeb, ha respinto in maniera ”categorica” i tentativi sciiti di intromettersi nei Paesi sunniti. Dal Cairo, Marina Calculli: RealAudioMP3
E’ la prima volta dal 1979 che un capo di stato iraniano visita l’Egitto. D’altra parte Mohammed Morsi si era guadagnato lo stesso primato in Iran, quando ad Agosto aveva partecipato a Teheran al meeting del movimento dei non-allineati. Sullo sfondo della diffidenza tra i due paesi c’è la frattura dottrinale, ma anche geopolitica, tra Sunniti e Sciiti. Nonostante questo, è dalla caduta di Mubarak che l’Iran cerca di riallacciare le relazioni diplomatiche con l’Egitto, provocando spesso l’ira dell’Arabia Saudita. Al centro dei colloqui tra Morsi e Ahmadinejad c‘è la Siria, ma anche la questione palestinese. Il presidente iraniano ha espresso il desiderio di visitare Gaza, dichiarando inoltre che la geografia politica della regione cambierebbe se Iran ed Egitto avessero una posizione comune. La visita del presidente iraniano ha però provocato diversi malumori, soprattutto tra i salafiti, che avevano addirittura chiesto a Morsi di vietare la visita. E quando ieri Ahmadinejad si è recato alla moschea di Sayyeda Zeinab una folla l’ha assalito, gridandogli di andarsene e accusando di voler trasformare l’Egitto in una dittatura islamica.
In che modo la riapertura dei contatti tra Iran ed Egitto influenzerà i rapporti bilaterali tra le due diplomazie? Salvatore Sabatino ne ha parlato con Francesca Paci, inviata del quotidiano “La Stampa”: RealAudioMP3
R. – E’ una visita molto importante. Però, credo che più che rafforzare i rapporti tra i due Paesi, che difficilmente diventeranno fortissimi alleati – principalmente perché l’Arabia Saudita non sarebbe molto contenta del fatto che l’alleato sunnita egiziano vada a braccetto troppo calorosamente con l’Iran sciita -, sia un incontro importante per i due protagonisti, il presidente Ahmadinejad e il presidente Morsi, entrambi in grandi difficoltà, sia in casa che sul piano internazionale. Ahmadinejad va a raccogliere al Cairo la dimostrazione che può non essere isolato. Ahmadinejad ha problemi non soltanto come presidente iraniano su scala internazionale ma anche all’interno, perché non va più molto d’accordo con la Guardia Rivoluzionaria. Per quanto riguarda il presidente Morsi, l’opposizione interna, che ormai è in piazza da circa due mesi, affronta parecchie difficoltà. Le violenze stanno prendendo un po’ la mano. Poi c’è anche l’economia: da una parte, il prestito del Fondo monetario internazionale di cui il Paese ha bisogno, la difficoltà di “ammiccare” alla pancia religiosa e conservatrice del Paese, dall’altra l’assicurarsi una credibilità sullo scenario internazionale…

D. – Egitto e Iran hanno due posizioni divergenti sulla Siria. Come sarà possibile mettere insieme la politica di appoggio ad Assad da parte di Ahmadinejad e quella filo-resistenza di Morsi?

R. – Secondo me, proprio la necessità reciproca che hanno l’uno dell’altro, cioè di accreditarsi come leader di due Paesi estremamente importanti nella regione, può far chiudere un occhio a entrambi. Già quest’estate, quando Morsi è andato a Teheran e fece il famoso discorso molto filo-resistenza anti-Assad, l’Iran fu assolutamente spiazzato in un primo momento. Però, dopo ha chiuso un occhio su questa cosa. Ahmadinejad ha preferito dire: “Va bene, la posizione di Morsi è filo-ribelli, mi interessa meno rispetto al fatto di poter avere un partner in questo momento”. La stessa cosa vale per quanto riguarda Morsi che, pur essendo fortemente a favore dei ribelli, ha sempre tenuto una distanza dalle ipotesi di intervento esterno per sostenere l’opposizione siriana.

D. – Altro argomento assolutamente delicato è ovviamente il rapporto con Israele. Sappiamo che il Cairo e Teheran non hanno più rapporti diplomatici proprio da quando l’allora presidente Sadat, siamo nel ’79, firmò un accordo di pace con lo Stato ebraico. Da questo punto di vista ci sarà un accordo?

R. – Qui le agende divergono e parecchio, nel senso che per l’Iran l’arcinemico sionista, è quasi una ragione d’esistere mentre Morsi, nonostante siano venute fuori le sue affermazioni contro Israele, il diritto di esistere, ecc…, di solo pochi mesi prima che venisse eletto, si sta muovendo o sta cercando di muoversi in maniera molto pragmatica. Quindi, da una parte, ha bisogno dell’Iran perché questo fa vedere al Medio Oriente che l’Egitto è potente; dall’altra parte, ha bisogno dell’Arabia Saudita, che pure essendo sunnita, è quella che insieme al Qatar gli garantisce parecchi investimenti. Poi, ha bisogno degli Stati Uniti che quattro giorni fa gli hanno consegnato quattro jet F16 come promesso. Ha bisogno anche di Israele, non tanto per il trattato di pace e per i palestinesi, quanto per la garanzia del Sinai che è completamente fuori controllo e su cui Israele e Egitto stanno collaborando e parecchio.

D. – Al Cairo è presente anche il presidente turco Gull che firmerà importanti contratti. Quanto possono aiutare l’economia egiziana tutti questi rapporti di Morsi con gli altri capi di Stato?

R. – I rapporti con il mondo sono importantissimi. Quando dicevo prima che Morsi sta cercando di muoversi in maniera pragmatica, volevo dire che cerca di tenere una staffa con l’Iran che potrebbe garantirgli una fornitura di gas e petrolio che servirebbe a Morsi e servirebbe a Teheran per aggirare l’embargo internazionale. Ma nel frattempo Morsi è andato in Cina, quindi ha agganciato importanti rapporti commerciali con la Cina; è andato in Germania dalla Merkel dopo essere stato in Italia, quindi sta lavorando sul fronte europeo; con l’America lo sta facendo dall’inizio. Sta cercando di muoversi in maniera pragmatica proprio perché il vero tallone di Achille dei Fratelli musulmani – che hanno preso il potere dopo la loro intera esistenza passata all’opposizione e in clandestinità – è proprio l’economia. Tanto è vero che, proprio in questo momento, anche l’opposizione egiziana è estremamente immatura perché se invece di stare continuamente in piazza, lasciasse governare i Fratelli musulmani, li vedrebbe cadere sul problema più serio dell’economia: il 60 per cento della popolazione ha meno di 30 anni, i tassi di disoccupazione sfiorano il 40 per cento, il turismo, che è una delle cinque voci più importanti del Paese, è calato del 70 per cento… e, soprattutto, con un Paese in sommossa, c’è l’incubo del prestito di 4,8 miliardi di dollari del Fondo monetario internazionale, che verrà solo a condizioni di tagli pesantissimi, tagli che si può permettere solo un presidente che ha un grande consenso e non un presidente che da due mesi ha le piazze piene.

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