KAZAKISTAN – ( 14 Febbraio )

UNA VOCE DALL’EST
 
“Il mio Kazakistan e la rivoluzione di Papa Francesco”
 
Parla monsignor Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana, e segretario della conferenza episcopale. I cattolici sono una minoranza: solo l’uno per cento della popolazione. “Sì, siamo in minoranza ma il grande rispetto nutrito per il Papa come grande autorità morale si riflette sulla bella considerazione che l’apparato statale ha di noi”. Pochissimi mezzi, ma grande entusiasmo. L’emergenza aborto
Andrea Dammacco
 
“Dobbiamo trasmettere la verità con convinzione e con la testimonianza”. Si può riassumere in questa frase il pensiero e lo stile di vita di monsignor Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana, capitale del Kazakistan, segretario della conferenza episcopale kazaka, nonché scrittore di libri di successo in materia liturgica. Ospite dell’associazione leccese “Luigi Pappacoda”, mons. Schneider è in questi giorni in terra salentina per tenere conferenze a Lecce, sul tema “La Santa Comunione e il rinnovamento della Chiesa” introdotto da don Nicola Bux, liturgista e scrittore; e a Gallipoli, sul tema “La fede cattolica nella Santa Eucaristia”, presentato da monsignor Fernando Filograna, vescovo di Nardò–Gallipoli. Tra i principali artefici della rinascita religiosa del suo Paese dopo settant’anni di dittatura sovietica, il vescovo Schneider fa nascere a Karaganda, sua precedente diocesi, accanto ai luoghi del martirio di 500mila deportati, la nuova splendida cattedrale in stile neogotico, dedicata alla Madonna di Fatima.
 
Il senso della testimonianza. “Lo dice anche Papa Francesco: dobbiamo uscire dalle strutture e andare a testimoniare il Vangelo in mezzo alla strada”. È deciso mons. Schneider quando afferma che questo è il più bel modo di evangelizzare. E lo dice anche con gioia perché nel paese in cui compie la sua missione, il Kazakistan, nonostante i cattolici siano l’un per cento della popolazione totale, questi sono tenuti in grande considerazione tanto dall’apparato statale quanto dai membri delle altre confessioni: “Quando vado in mezzo alla gente e indosso, ovviamente, il mio abito talare, – dice il vescovo – sono tutti contenti. Anzi si sentono onorati perché, per loro, avere un ministro di Dio così vicino alla gente, significa avere l’irraggiamento di Dio. In Kazakistan abbiamo poco, c’è molta povertà e anche la Chiesa Cattolica non ha molti soldi, perciò cerchiamo tutti di partire dai rapporti umani, tra le varie confessioni ci sono dei bellissimi rapporti, rapporti di collaborazione, lavoriamo insieme, diamo tutti ciò che possiamo. Poi c’è lo Stato, laico, che ci rispetta. Sì, siamo in minoranza ma il grande rispetto che nutrono per il Papa come grande autorità morale si riflette sulla bella considerazione che l’apparato statale ha di noi. Ci coinvolge sempre nelle discussioni. Per questo il miglior modo per evangelizzare è testimoniare, e testimoniare con la presenza. Quello che percepisco nella gente che incontro è una grande sete di Gesù, l’uomo ha necessità di andare verso Gesù”.
 
Le opere e la difesa della vita. Quello che i cattolici hanno in Kazakistan è davvero poco. Annualmente arrivano fondi dalla Conferenza episcopale italiana ma non sono molti e nello stato transcontinentale i cittadini non possono contribuire economicamente alle opere cattoliche. “Ma facciamo quel che possiamo con le risorse che abbiamo, – continua monsignor Schneider – sono poche ma ce le facciamo bastare. Abbiamo aperto un centro per l’accoglienza delle ragazze madri, inoltre ogni parrocchia contribuisce cercando di aiutare i più poveri donando vestiti e accoglienza, organizzando mense e centri di ascolto. Noi come curia siamo molto attenti alla catechesi, all’istruzione catechistica, alla pastorale delle famiglie. E in questo senso abbiamo accentuato molto il nostro lavoro. E poi facciamo tutto quello che possiamo in difesa della vita”. Tema particolare quest’ultimo poiché in Kazakistan, causa anche l’eredità dei principi leninisti, l’aborto e il divorzio sono molto diffusi e facilitati. Il governo kazako, infatti, ha sempre autorizzato il ricorso all’aborto, ponendolo quasi alla pari con i metodi contraccettivi. “Questo può creare una distorsione nella mentalità della società. Si abortisce quasi fosse un’operazione di routine. Ma a livello psicologico, l’aborto crea comunque una profonda ferita nell’animo delle donne e noi corriamo incontro a chi grida aiuto. Oltre a ciò, esiste un alto tasso di divorzi e di convivenze di coppie non sposate. Ma anche se è diventata prassi convivere al di fuori del matrimonio, queste stesse coppie percepiscono che in fondo manca qualcosa nel loro rapporto e cioè legittimare la loro unione di fronte a Dio. Ecco, in questo la Chiesa deve aiutare con molta chiarezza”.
 
Assetati di Dio. “Gesù ha detto: venite a me! Ha detto che se siete peccatori venite a me, non abbiate paura! Oggi la società ci dona tante opportunità ma in fondo la natura dell’uomo è sempre quella da millenni. C’è sempre la sete di Dio dentro di sé”. Una frase così semplice eppure così forte detta da un uomo che ha vissuto la sua giovinezza in clandestinità in un Paese dove i cattolici, eufemisticamente, non erano ben accetti. Le parole di monsignor Schneider sono piene di vita e provengono da una grande certezza della fede unita ad una grande umiltà, un binomio che lascerebbe perplesso il pensiero anticlericale tanto in voga oggi. Ma questo binomio deriva dalla coscienza che dure prove della vita hanno formato. “Ringrazio Dio per l’esperienza che mi ha fatto vivere da clandestino e da perseguitato nell’epoca comunista. Ho avuto sempre l’esigenza di unire verità e carità e a mio modesto parere la ‘rivoluzione’ che sta operando Papa Francesco non deve scandalizzare ma spingere la Chiesa a unire verità e carità”.
 
 
 
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