Il 2 novembre 2009, infatti, un aereo che trasportava 10 tonnellate di droga è stato trovato bruciato su una rudimentale pista datterraggio costruita nel villaggio di Tarkint, 200 chilometri a nord di Gao, capoluogo dellomonima regione nel nord del Mali. «Miguel, però, è solo la punta di un grandissimo iceberg», conferma Serge Daniel, giornalista freelance francese originario del Benin: «Questo aereo trasportava cocaina per un valore di circa 300 milioni di euro. Per fare un paragone spiega Daniel la stessa cifra che il governo francese ha speso per le sue operazioni durante la guerra in Libia per scalzare Gheddafi».
Secondo le più recenti ricostruzioni, laereo, un Boeing 727, proveniva dal Venezuela, era stato immatricolato in Arabia Saudita, ma era in possesso di una licenza della Guinea Bissau. Dopo essere atterrato nel deserto maliano, diverse camionette 4×4 che attendevano sulla pista, hanno caricato velocemente la merce e sono ripartite verso Nord. Ma i piloti, questa volta, forse non avevano fatto i calcoli giusti: laereo non aveva più carburante per decollare.
È così che i tre individui che trasportavano la droga due venezuelani e un nigeriano secondo alcune fonti hanno deciso di usare la benzina rimanente per bruciare lintero Boeing 727, cancellando ogni traccia di droga allinterno del velivolo. «E mi avevano confermato che il giorno dopo era in arrivo un altro aereo sulla stessa pista continua Daniel, lunico giornalista ad aver visitato il luogo dellincidente . Ma le autorità maliane erano ancora in zona, costringendo il secondo velivolo a cambiare la destinazione».
È praticamente impossibile rendersi conto dellentità del traffico di droga che passa per il nord del Mali. Il caso dellaereo venezuelano è per ora lunico ad essere stato pubblicamente indagato perché i trafficanti hanno commesso un errore. In seguito a questa vicenda, il procuratore maliano per lanti-corruzione, Sombe Therà, ha arrestato Devesa, un francese (liberato qualche giorno prima dello spagnolo) e un maliano ancora in prigione.
«Il traffico della droga che dallAmerica Latina va verso lEuropa è iniziato a passare per il Mali verso la metà degli anni Settanta», spiega Salem Ould Elhaj, professore di storia originario di Timbuctu e costretto a rifugiarsi a Bamako dopo lesplosione delle recenti ribellioni nel Nord. Ma in questi mesi è cresciuto ulteriormente, dopo che i ribelli qaedisti hanno preso il controllo della regione. «È un traffico enorme continua in cui tutti sono coinvolti: politici, militari, uomini daffari e semplici cittadini, sia del Mali che occidentali».
Gli aerei che partono soprattutto da Colombia, Venezuela e Brasile, arrivano sulle coste di Paesi come Senegal, Guinea Bissau, Guinea (Conakry) e Sierra Leone. La droga prosegue quindi in aereo (più raramente via terra) verso il nord del Mali. Arrivati sopra la regione di Gao, Timbuctu e Kidal, i piloti si mettono in comunicazione con i trafficanti annunciando lorario e il luogo dellatterraggio.
Poi tocca alle jeep 4×4 caricare il tutto e ripartire ad alta velocità verso il Nord, passando per lAlgeria e lasciando la droga sulle coste del Marocco, alle porte dellEuropa, dove italiani e spagnoli gestiscono lultima fase del traffico.
«Gli autisti delle 4×4 di solito sono tuareg o appartenenti alle minoranze arabe del Mali precisa il professore, il quale afferma di aver visto diversi suoi ex allievi diventare trafficanti e arricchirsi nel giro di pochi mesi . Il Nord è pieno di piste datterraggio artificiali o naturali. Le persone al volante sono pagate 20mila euro per ogni viaggio e conoscono il Sahara meglio di quanto portoghesi e spagnoli conoscevano il mare». Ora, però, lo stesso territorio è in preda al fondamentalismo islamico. I militanti controllano tutti i traffici, imponendo delle tasse e provvedendo alla sicurezza lungo il tragitto. Gli integralisti di Ansar Dine occupano la regione di Timbuctu, al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) quella di Kidal e il Movimento per lunicità la jihad nellAfrica occidentale (Mujao) quella di Gao. «I traffici nel nord del Mali conclude Elhaj sono infatti ormai la principale ragione dellattuale crisi che sta devastando il mio Paese».