MALI E ALGERIA
Il sogno interrotto
Un terribile intreccio di fondamentalismo, miseria, interessi economici e politici
Riccardo Moro

A marzo dellanno scorso il clima cambia bruscamente. A poche settimane dalla fine del secondo mandato di Att, mentre sta preparando le elezioni per passare di nuovo la mano, un gruppo di militari lo depone, accusandolo di avere usato una mano troppo delicata nel Nord del Paese, dove dallinizio dellanno si succedono scontri con forze islamiche e indipendentiste. Mentre la giunta militare sinsedia e riceve le condanne dellUnione africana e della Cedeao-Ecowas, la Comunità economica dellAfrica occidentale, le principali città del Nord Mali cadono nelle mani dei ribelli che approfittano del colpo di Stato a Bamako e della sospensione del potere per allargare la loro presenza. Per un anno la comunità internazionale attende e la stampa internazionale non si occupa del Mali. Fino a pochi giorni fa, quando i gruppi ormai insediati a Gao, Kidal e nella città storica di Timbuctù, decidono di attaccare lungo la strada per Bamako. Il Mali chiede aiuto alla Francia che – forte di una risoluzione Onu votata poche settimane prima – invia uomini ed elicotteri di stanza in Niger. I Paesi della Cedeao dichiarano immediata solidarietà e annunciano larrivo delle proprie truppe. Diversi Paesi europei garantiscono la propria assistenza allintervento internazionale. È guerra. Il sogno maliano si è trasformato in incubo.
Era evitabile? Per rispondere occorre distinguere tra la domanda dindipendenza del Nord Mali e la pressione del fondamentalismo terrorista islamico. La questione dellautonomia dellAzawad, il nome che in lingua tuareg significa transumanza e con cui si indica la regione Nord del Mali, è antica. Le popolazioni tuareg si sono spostate tradizionalmente allinterno della zona del Sahara fra Mali, Niger, Burkina Faso, Algeria e Libia e per lAzawad chiedono un riconoscimento che ha originato diversi scontri sia in epoca coloniale sia con lautorità di Bamako, lultimo risolto nel 2006 con una mediazione di Algeri. Il Mnla, il Movimento nazionale per la liberazione dellAzawad, una forza che si dichiara laica e non etnica, è oggi protagonista militare e politico di questa domanda. Di natura completamente diversa sono le tre organizzazioni fondamentaliste attive nella zona. La prima è Aqmi, al Qaeda per il Maghreb islamico. Da questa è nato per scissione il Mujao, il Movimento per lunicità e la jihad in Africa occidentale. Con loro agisce Ansar Dine, un movimento ben organizzato militarmente, fondato da Iyad Ag Ghali, un discusso faccendiere da venti anni al centro dei traffici che passano tra sponda Nord e Sud del Sahara. Coinvolto nei moti tuareg degli anni 90, a lui sembrano essersi rivolti i servizi europei e africani in questi anni per risolvere situazioni di crisi o pagamento di riscatti, e con lui i tuareg libici sembrano aver trattato per recuperare parte dellarsenale militare libico durante la guerra contro Gheddafi.
Le relazioni tra le diverse componenti non sono facili. In un primo momento la leadership sembrava appartenere agli indipendentisti di Mnla, che firmano un accordo il 26 maggio scorso con Ansar Dine per distribuire le responsabilità sul territorio. Ma lintesa salta pochi giorni dopo, perché i fondamentalisti impongono unilateralmente la sharia nelle città conquistate. Oggi sembrano prevalere i fondamentalisti, ma la situazione è molto confusa, con iniziative militari separate che non si capisce se concertate o frutto di divisioni. Alla competizione tra autonomismo politico e fondamentalismo religioso si aggiunge il controllo sui traffici. LAzawad, un tempo via del nomadismo, oggi è corridoio della droga che dallAmerica Latina arriva nei porti franchi dellAfrica occidentale e deve raggiungere il Mediterraneo per alimentare il mercato europeo. Controllare quel traffico assicura risorse finanziare ingenti.
I Paesi europei e africani vedono con grandissima preoccupazione lespandersi di un potere fondamentalista che, giocando sugli squilibri locali, può diffondersi nel Sahel e nel Maghreb con effetti destabilizzanti. Per questo la Cedeao oggi corre in soccorso di quella stessa giunta militare maliana che aveva condannato pochi mesi fa. Per questo lAlgeria è intervenuta con la forza sul suo territorio e i Paesi europei, compresa lItalia, si sono resi disponibili ad una azione militare.
Bisognava agire prima? Sì, ma serve a poco dirlo adesso. Ora occorre che al più presto la voce della politica e di una cooperazione sensata sovrasti quella delle armi. Se, non è affatto scontato, la forza militare internazionale risolverà la situazione di crisi immediata, non si consideri conclusa la questione. La vera agenda è alimentare testardamente il dialogo e le azioni che favoriscano lo sviluppo. Se la povertà estrema non mortificasse la vita, la libertà, listruzione e la responsabilità, le sirene del fondamentalismo apparirebbero assai meno affascinanti. È una priorità urgente anche per lagenda politica italiana.
Il testo completo si trova su: