Due fatti avvenuti nelle ultime ore hanno complicato nuovamente la situazione. Da un lato, la richiesta di nuove esplicite garanzie (scritte, questa volta) avanzata dalle autorità di Damasco nei confronti dei ribelli, che dovrebbero impegnare questi ultimi a non riprendere le armi e i loro alleati qatarini e sauditi a cessare ogni forma di finanziamento nei loro confronti. Dallaltro, il ferimento di alcuni profughi siriani e di un interprete allinterno di un campo situato in territorio turco. Comè noto, il governo di Ankara, a lungo solidale con Assad, ha da alcuni mesi rivisto completamente la sua posizione, collocandosi nel campo degli avversari più intransigenti del regime.
Quali che siano state le motivazioni profonde che hanno causato un simile repentino riallineamento, occorre sottolineare che lulteriore isolamento di Bashar Assad che ne è scaturito (nella regione appoggiato ormai solo da Iran e Iraq e non osteggiato dal Libano) non ha prodotto le conseguenze sperate. Anzi, paradossalmente, ha reso ancora più complicata impossibile, in realtà la ricerca di una soluzione di compromesso per porre fine alla guerra civile che da oltre un anno insanguina il Paese. In questi mesi, infatti, allo stallo militare, si è associato un accelerato deterioramento del quadro politico interno, con la sostanziale emarginazione dei possibili interlocutori interessati alla ricerca di una via duscita che non coincida con la sconfitta totale del tiranno o con la repressione definitiva del movimento di protesta.
La sensazione è che, a questo punto, Assad possa prolungare a tempo quasi indeterminato la sua resistenza in uno scenario simile in parte a quello che in Italia conoscemmo con la tragica avventura della Repubblica sociale. Anche in questo caso, la capacità di resilienza del regime è tuttaltro che esaurita, alimentata dalla consapevolezza che non vi sarà nessun possibile esito alternativo a una severa resa dei conti. Diversamente da quanto avvenne in Italia tra 1943 e 1945, però, nessun esercito e nessuna coalizione internazionale stanno procedendo alla progressiva occupazione del suolo siriano e quella in corso è esclusivamente una guerra civile, sia pur finanziata anche da attori esterni.
Assad forse non potrà più vincere, ma non si vede ancora come possa essere sconfitto se non dopo un lunghissimo conflitto interno e un bagno di sangue. E soprattutto non si capisce quali possano essere le alternative a combattere fino a che sarà possibile farlo. La pretestuosità del piano di Kofi Annan e dellOnu sta in fondo tutta qui: nel chiedere ad Assad di fermare lo strumento militare (che resta uno sei suoi asset principali) sostanzialmente in cambio di nulla. Assad sa benissimo che nel momento stesso in cui togliesse lassedio alle roccheforti ribelli e si sedesse a trattare (ma che cosa?), sarebbe finito. La tregua rafforzerebbe i ribelli, come sempre è avvenuto in tutte le guerre civili e insurrezionali. Il dittatore di Damasco sa che proprio la radicalizzazione continua dello scontro concorre a trattenere sotto le sue bandiere tutte quelle minoranze (compresi i cristiani) che temono ogni giorno di più che la vittoria dei ribelli possa trasformarsi nel trionfo sunnita, e delle formazioni più intransigenti e più disposte a omogeneizzare con la forza la composita società siriana.
Fintantoché i presupposti delle proposte di cessate il fuoco targate Onu saranno questi, non deve stupire che esse non sortiscano alcun effetto. Ma possono essere diversi, a questo punto? La sensazione è che il tempo della mediazione politica sia ormai scaduto, per calcolo e per errore di tutte le parti coinvolte (regime, ribelli, comunità internazionale) e che solo dal campo possa sanguinosamente emergere laccelerazione verso leventuale sblocco. E su questa via, purtroppo, il prezzo si paga subito, mentre il risultato tarda sempre a venire.
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