Guerra civile a Damasco. Nunzio apostolico: si prevedono giorni bui
Mons. Mario Zenari racconta la tensione vissuta dalla popolazione. Da due giorni la capitale è teatro di scontri fra ribelli e guardia repubblicana, costati 64 morti. La testimonianza delle suore del monastero di Azeir (Homs) segno di speranza per cristiani, alawiti e sunniti.
Damasco (AsiaNews) – “La situazione è sempre più tesa a Damasco. La gente ha paura ad uscire di casa nel pomeriggio e in alcuni quartieri anche di giorno. Si prevedono giorni bui”. È quanto afferma ad AsiaNews, mons. Mario Zenari, nunzio vaticano a Damasco.
Per la prima volta dall’inizio delle rivolte, la guerra fra ribelli ed esercito ha fatto il suo ingresso nella capitale. Dallo scorso 15 luglio sono in corso scontri fra la brigata ribelle del Jaish al Hur (Esercito della libertà) e militari della temuta guardia repubblicana di Maher el-Assad, fratello del presidente. I combattimenti più cruenti stanno avvenendo nelle strade del quartiere storico di Midan, dove il governo ha risposto mandando carri armati, elicotteri, cecchini e artiglieria pesante. Secondo gli attivisti siriani, in meno di due giorni 64 persone sono rimaste uccise negli scontri. Fra i morti vi sarebbero anche diversi civili.
Mons. Zenari sottolinea che il conflitto colpisce tutta la popolazione e fino ad ora non vi sono episodi di violenza contro i cristiani. “In alcune aree di Damasco, come in molti villaggi della Siria – spiega – la presenza di maroniti, cattolici e ortodossi favorisce la riconciliazione fra la fazione alawita e i musulmani sunniti. A ciò si aggiungono le testimonianze di diversi religiosi che hanno scelto di restare a fianco della gente e condividere con loro i dolori e il dramma della guerra, nonostante i rischi”. Il prelato cita la testimonianza di cinque suore cistercensi (trappiste) italiane di Azeir (Homs), piccolo villaggio vicino al confine con il Libano. “La presenza delle religiose – afferma – è un segno di speranza per gli abitanti dei villaggi limitrofi che considerano il monastero un luogo di pace che aiuta ad affrontare gli orrori della guerra”.
Intanto, continua il braccio di ferro all’interno del Consiglio di sicurezza Onu, dopo il terzo no di Cina e Russia alla condanna unanime del presidente siriano. Ieri, Mosca ha bloccato una dichiarazione a nome delle Nazioni Unite sul recente massacro di Tremseh, costato la vita a circa 200 persone, poiché le informazioni sarebbero troppo parziali e fornite solo dall’opposizione. Ieri, Sergei Lavrov, ministro degli Esteri russo, ha affermato che i Paesi occidentali stanno utilizzato “forme di ricatto” per costringere la Russia ad accettare nuove sanzioni contro il regime.
Diversi Paesi membri del gruppo “amici della Siria” che comprende membri del Consiglio di sicurezza Onu e Lega Araba, premono per una risoluzione della Nazioni Unite contro il regime. Alcuni Paesi, fra cui la Francia, valutano anche l’ipotesi di un impegno armato, come già accaduto nel 2003 per l’Iraq e nel 2011 per la Libia. Oggi Nawaf Fares, l’ex ambasciatore siriano in Iraq che nei giorni scorsi ha voltato le spalle a Bashar al- Assad, ha dichiarato che il presidente non esiterà ad utilizzare armi chimiche per evitare la sua caduta. (S.C.)
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