SIRIA – ( 22 Ottobre )

Siria: infuria la guerra a Damasco e Aleppo. Sparatoria al confine con la Giordania


Dopo la Turchia e il Libano, si infiamma anche il confine tra Siria e Giordania. Un soldato di Amman è rimasto ucciso all’alba di oggi negli scontri scoppiati con alcuni miliziani lungo la frontiera. Intanto proseguono i combattimenti in varie aree del Paese. Una donna e i suoi quattro figli sono rimasti uccisi durante i bombardamenti in un sobborgo di Damasco, mentre combattimenti sono in corso anche ad Aleppo. Proprio la città più popolosa della Siria è diventata il simbolo della guerra che sta insanguinando il Paese. La città da settimane è teatro di battaglie senza esclusioni di colpi, in cui a pagare il prezzo più alto sono i civili. Sulla drammatica situazione che vivono i suoi abitanti, Salvatore Sabatino ha intervistato il collega Cristiano Tinazzi, appena rientrato da Aleppo:RealAudioMP3

R. – La situazione che ho trovato è di estremo disagio per la popolazione civile. Chi può va via, cerca di scappare dalla Siria. Il problema è che adesso, all’interno del confine siriano si è formata una tendopoli di circa novemila persone che non possono neanche più andare in Turchia, perché il campo profughi è pieno, quindi si trovano in una zona che è una terra di nessuno e sono lì, fermi, aspettando la possibilità di poter passare.

D. – Ci sono numerose testimonianze anche di grande solidarietà tra la popolazione…

R. – Io – purtroppo – ho avuto la sfortuna di assistere ad un bombardamento in diretta proprio nei pressi dell’ospedale di Al Chifa, ad Aleppo. Dopo pochissimi secondi, forse un minuto o due, le macchine di civili che andavano avanti e indietro, correvano per portare aiuto ai feriti, per tirarli fuori dalle macerie rischiando di essere, a loro volta, colpiti perché comunque continuavano a cadere proiettili di mortaio. Le persone poi vengono ospitate da altre famiglie, si cerca di dividere quel poco che si ha. Come a Sarajevo si formano code lunghissime per il pane e fin dalle sette del mattino: uomini, donne e bambini in fila, divisi, aspettando il loro turno. È una situazione che mette tutti a dura prova. Devo dire che poi adesso è stata colpita anche la comunità cristiana; vedremo che cosa succederà. Però quella zona della comunità cristiana è sotto controllo governativo, per cui è anche difficile parlare con i cristiani e cercare di capire il loro stato d’animo.

D. – Aleppo, da cuore economico della Siria, si è trasformata in cumolo di macerie ed epicentro delle violenze. C’è comunque una reazione della gente di fronte a quanto sta accadendo o no?

R. – Non vedono la fine del tunnel. Purtroppo la gente pensa a quello che deve fare ogni giorno per “tirare a campare”. L’economia è ferma. Quasi più nessuno lavora, e si vive del minimo di sussistenza grazie alle raccolte di fondi organizzate nei villaggi dove qualcuno che ha più soldi di altri li mette a disposizione per comprare la farina, le lenticchie, un po’ di grano… le cose che servono per mangiare tutti i giorni. Di carne se ne vede poca sulle tavole delle persone. La benzina è aumentata incredibilmente, e la gente sta aspettando che in qualche modo la situazione si sblocchi o che dall’esterno arrivino degli aiuti. Purtroppo non può entrare nessuno; nessuna ong riesce ad entrare in maniera concreta nel territorio siriano per aiutare la popolazione colpita da questa grave sventura.

D. – Insomma, come in tutte le guerre, anche quello che sta avvenendo in Siria è più drammatico di quello che possiamo immaginare noi che non siamo nel Paese…

R. – Sicuramente. Io credo che non ci sia una percezione concreta. È la stessa cosa che è accaduta in Bosnia: fino a quando tutti focalizzano lo sguardo su quegli avvenimenti, tutto il mondo si mobilita. Però ormai è passato un anno e mezzo e 30 mila morti, e ancora si continua a non parlare della Siria, a non parlare della situazione siriana a meno che non ci sia un’autobomba o che i morti superino le due – trecento unità ogni giorno; allora in quel caso, magari, esce un articolo sui giornali. Però la realtà di tutti i giorni è veramente terrificante. A noi giornalisti è bastato stare una settimana – dieci giorni per poter uscire traumatizzati da quella realtà, ma sapendo che comunque saremmo andati da qualche parte, e potevamo uscire. La maggior parte delle persone non ha nessun posto dove andare.

Intanto si affievoliscono le speranze per il cessate-il-fuoco in occasione della festa musulmana del Sacrificio, chiesto dall’inviato di Onu e Laga Araba, Brahimi, che ieri a Damasco ha incontrato il presidente Assad. Una richiesta, la sua, reiterata più volte in queste settimane. A sottolineare le fragili speranze al riguardo, il numero due della Lega Araba, Ahmad ben Hilli, a margine del Forum internazionale sull’energia a Dubai. Sulla possibilità reale di far tacere le armi, Salvatore Sabatino ha intervistato Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle Relazioni Internazionali presso l’Università di Firenze:RealAudioMP3

R. – La tregua sarebbe di soli quattro giorni ed è una cosa minima! Per arrivare a qualcosa di più serio occorre che discutano i veri soggetti: gli occidentali e la Russia, che ha enormi interessi in Siria.

D. – Brahimi in questi ultimi giorni, Annan prima: gli inviati in Siria non sono riusciti a portare in primo piano il dialogo tra le parti. Può essere considerata questa l’espressione più concreta dell’impotenza della Comunità internazionale di fronte ad una crisi così difficile?

R. – Credo che tutto dipenda dall’estrema complicazione del quadro interno siriano, che era complicato già quando le cose andavano bene. Figuriamoci ora, dopo un anno e mezzo di guerra civile vera…

D. – Ora i rischi di una regionalizzazione del conflitto diventano sempre più concreti e quello avvenuto in Libano nelle ultime ore ne è la dimostrazione. Cosa può, in questo momento, spegnere la miccia libanese?

R. – Soltanto un serio colloquio tra occidentali, che mestano un pochino anche loro, e i russi che difendono il loro porto sul Mediterraneo. Solo questo!

D. – E sulle responsabilità, invece, di quanto è accaduto in Libano ci sono delle visioni che sono differenti…

R. – Probabilmente in Libano sono stati i siriani e probabilmente in Libano non è stato hezbollah, che – pur essendo un alleato dei siriani – non può essere così poco avveduto da fare un gesto del genere, mettendo a rischio tutta la sua politica di questi anni.

D. – La Turchia, da parte sua, ricopre un ruolo importantissimo nella regione: il fatto che sia in prima linea nel conflitto siriano può essere un rischio per la stabilità dell’intero Medio Oriente?

R. – No, perché la Turchia è vista da tutti come un Paese tranquillo, stabile, che difende soltanto cose prioritarie come la sua questione curda o, appunto, il disordine che può arrivare dalla Siria. Semmai la Turchia non sa come intervenire efficacemente senza provocare disastri ancora maggiori.

 
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