SIRIA – ( 7 Gennaio )

Siria: Al Quaeda uccide 50 attivisti ad Aleppo. Da Homs storia di fede e coraggio di un padre gesuita


Sta facendo il giro del mondo la notizia dell’uccisione di almeno 50 attivisti per mano di miliziani quaedisti ad Aleppo. Il servizio è di Salvatore Sabatino: RealAudioMP3

Sono stati portati nell’ex ospedale oftalmico di Aleppo. Qui sono stati uccisi, uno ad uno, in quello che appare una vera e propria punizione collettiva. La notizia è stata diffusa da attivisti sul posto. Il crimine sarebbe stato compiuto da uomini dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante, formazione qaidista presente in Siria e da giorni sotto attacco da parte degli insorti locali. Almeno 34 jihadisti erano poco prima rimasti uccisi nel corso degli scontri avvenuti nella provincia di Idlib. L’unione dei giornalisti di Aleppo ha condannato stamani quello che definisce il “vergognoso massacro”, affermando che tra le persone uccise figurano anche medici che lavoravano negli ospedali da campo della regione di Aleppo. Ma non è l’unica notizia di morte che giunge dalla Siria: almeno 10 civili, tra cui bambini, sono rimasti uccisi in seguito a un raid aereo sferrato dall’aviazione siriana sulla città di Bzaa

Una guerra, quella siriana, che sta lacerando il Paese mediorientale da tre anni, ma che non scoraggia chi, come padre Ghassan Sahoui, quotidianamente opera per il dialogo e la solidarietà. A Homs, infatti, questo giovane gesuita dirige il Centro educativo del Santo Salvatore, che ospita oltre 700 bambini di qualsiasi religione. Salvatore Sabatino lo ha intervistato: RealAudioMP3

R. – Ad Homs, noi viviamo in una zona calma, però ogni tanto arriva un missile o colpi di mortaio. Quindi, non siamo sicuri al cento per cento. Aspettiamo e siamo prudenti. Quando ci colpisce qualcosa, la gente deve essere pronta a scappare, ma la vita abitualmente va avanti. Ci sono tante difficoltà, quelle materiali ed economiche soprattutto perché ci sono tante persone che non lavorano più e quelle che lavorano ricevono solo qualcosa sufficiente per arrivare a metà mese, dopodiché si devono trovare altre risorse.

D. – Una guerra questa sicuramente atroce. C’è però, e so che lei questo lo vuole sottolineare con forza, anche un grande senso di solidarietà tra la gente…

R. – Noi Gesuiti, assieme alle suore della spiritualità ignaziana e con quasi 100 collaboratori, lavoriamo in un Centro di aiuto umanitario per bambini. Abbiamo un Centro educativo di quasi 700 bambini e ragazzi dai 6 ai 14 anni e un Centro anche per disabili. Accogliamo tutti senza far nessuna differenza tra le religione. Ci sono cristiani, musulmani, sunniti, alawiti. Viviamo e sentiamo davvero questa solidarietà tra noi. Non vogliamo più la guerra: tutti noi proviamo a vivere e ad aiutarci davvero a vivere anche se c’è la guerra e la tristezza. Sentiamo però una certa gioia nel vivere insieme, nel combattere insieme contro l’inimicizia e l’odio che purtroppo in Siria sta crescendo sempre più tra tutti i gruppi. C’è un esempio in questo Centro, che serviamo un po’ come “ponte”: coloro che fuori combattono quando si trovano qui sono nella calma, lavoriamo insieme per l’uomo, per i bambini e le famiglie. Si possono incontrare da noi: questo Centro serve da vero ponte tra sunniti ed alawiti, che abitualmente sono nemici. Non tutti, ma in generale è così.

D. – Si ha dall’esterno l’impressione che questa sia una guerra che è molto cambiata, soprattutto nell’ultimo anno. Purtroppo, ci sono anche presenze estere all’interno del Paese e molte testimonianze parlano di persone che parlano altre lingue sconosciute. Si parla di ceceni, di tutto quel radicalismo islamico che sta portando la guerra verso una direzione completamente diversa e sicuramente più complessa. I cristiani in questa situazione che ruolo possono svolgere, visto che hanno svolto sempre un ruolo di grande equilibrio all’interno del Paese?

R. – I cristiani, come tutti gli altri gli uomini di buona volontà, non vogliono altro che la pace. Anche noi siamo colpiti di come questi stranieri siano venuti per combattere sulla terra siriana e vediamo che è vero che non si tratta di una guerra solo tra siriani, ma è una guerra tra religioni, internazionale. Ci sono tanti giocatori e Paesi che hanno diversi interessi. Vediamo dove si può arrivare attraverso l’odio per l’altro: persone e combattono tra loro. Perché? Se vogliamo davvero un esito positivo, bisogna dialogare e non combattere. Vogliamo la pace.

D. – Questo credo sia un sentimento comune a tutta la popolazione siriana in questo momento. Lei che è siriano, di Damasco, e che vive ad Homs, ha l’impressione che ci sia tra la gente ancora la speranza di questa pace, che difficilmente si vede in questo momento, o c’è più rassegnazione?

R. – Così, così. Non è facile avere speranza in questo momento, ma ci sono tanti che sperano ancora.

D. – Lei dice che però la speranza è lassù: la vostra preghiera è continua…

R. – Certo. Noi proviamo a metter da parte il dialogo politico, gli argomenti politici e proviamo a vivere e aiutare la gente sul terreno, concretamente. Basta alle armi, basta al sangue perché così non si può vivere. Sempre tantissimi morti, sempre tantissime vittime: basta, basta!

Testo proveniente dalla pagina

 

del sito Radio Vaticana
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