SUD SUDAN – ( 10 Maggio )

SUD SUDAN
 
La maledizione del petrolio
 
Padre Daniele Moschetti spiega le ragioni dell’immobilismo di un Paese ricco di risorse naturali e che dovrebbe guardare oltre l’oro nero per progettare il futuro. Le mire delle multinazionali sullo sfruttamento della terra e il ruolo pacificatore dei cristiani fra le etnie

 
 
“Il petrolio è una maledizione per il Sud Sudan. In nome del petrolio le tensioni non si placano, soprattutto ad Abyei, zona cuscinetto tra il Nord e il Sud Sudan. Non solo. Da quando, il 9 luglio 2011, è stata ufficialmente proclamata l’indipendenza del 54° Stato africano, per assurdo, sul petrolio il dialogo si è fermato. Il Sud ha “chiuso i rubinetti”, non riuscendo ad accordarsi con il Nord, che non ha greggio, ma gestisce gli oleodotti (1.200 chilometri), su costi e profitti reciproci. Questo lungo periodo di blocco ha messo economicamente in ginocchio i due Paesi. Per fortuna, recentemente l’accordo si è trovato. Tuttavia, a beneficiare delle entrate che derivano dal petrolio sono pochissimi, soprattutto stranieri, in particolare cinesi, americani, giapponesi…, che detengono i giacimenti. Il popolo ancora una volta resta escluso. Tutto questo per una risorsa che ha davanti a sé non più di vent’anni di vita, perché i pozzi si vanno esaurendo”. A dirlo è padre Daniele Moschetti, superiore provinciale dei Comboniani, di stanza a Juba, in Sud Sudan, ma con alle spalle una lunga esperienza africana (è succeduto ad Alex Zanotelli in Kenya, a Korogocho, la quarta baraccopoli più popolosa del Paese, ndr), intervenuto a Vicenza, giovedì 9 maggio, all’incontro Africa. Il conflitto che viene dal “profondo” – “dal Sud Sudan alle altre guerre dimenticate”, organizzato dal settimanale diocesano “La Voce dei Berici”, in collaborazione con l’Ufficio missionario diocesano e con il Centro culturale San Paolo, nella cui sede l’incontro si è tenuto. Il dibattito è stato piacevolmente inframmezzato dagli interventi musicali del vicentino Angelo Gallocchio, uno dei pochi musicisti italiani di Hang, una percussione nata in Svizzera nel 2000, il cui suono particolarissimo evoca mondi lontani.

Dopo quarant’anni di guerra civile. Il caso del Sud Sudan è emblematico, perché logica vorrebbe che, con l’ottenimento dell’indipendenza, dopo quarant’anni di guerra civile, lo Stato fosse pacificato. In realtà, il conflitto continua, anzi, ce n’è più di uno: Abyei, Blue Nile, sud Kordofan, Darfur. Sono le zone rimaste escluse dal referendum, perché si trovano sui confini tra Nord e Sud, e quindi vivono una situazione di particolare delicatezza. E poi il caso Sud Sudan è emblematico di tutta l’Africa, perché, come nel resto del continente, non c’è solo petrolio. “Il sottosuolo abbonda di risorse minerarie, ma anche l’acqua, la terra, le vacche – riprende padre Moschetti – sono ricchezze di cui il Paese dispone in gran quantità. Il governo privilegia il petrolio perché dà una rendita immediata, ma concentrarsi troppo su questa risorsa, significa che non ci sono soldi, né idee per investire in altri settori. Eppure, pesca, commercio, agricoltura e allevamento potrebbero essere incrementati e diventare motori dello sviluppo. In Sud Sudan ci sono 31 milioni di capi di bestiame, tra capre, pecore a vacche. Queste ultime sono 12 milioni: una sorta di “banca” mobile. Per le due etnie dominanti – Dinka e Nuer – sono tutto. La vacca rappresenta l’orgoglio, il patrimonio; è più importante, anche della donna che con le vacche si può comprare. Nonostante questo, non c’è un’industria casearia, ma non c’è neppure un embrione di riflessione su questo”.

La terra nelle mani delle multinazionali. Per quanto riguarda la terra, se la stanno accaparrando le multinazionali estere. “Lo stavano già facendo prima dell’indipendenza. Uno studio nel 2010 rivelava che già allora il 9 per cento della terra era stato dato a grossi gruppi di investimento. Figuriamoci ora. Dopo l’indipendenza, è arrivata gente da tutto il mondo – oltre che africani dei Paesi vicini, quali kenyani, ugandesi, eritrei, congolesi… -, attirata da investimenti legali e illegali. Questo non aiuta il Paese e, in mancanza di leggi, tutto è possibile. L’impunità è grande”.

Il ruolo delle religioni. Al Sud la maggioranza è cristiana: il 60 per cento, tra cattolici e protestanti; ci sono sette diocesi. I musulmani sono pochissimi, per lo più dediti al commercio; le moschee si vedono solo nelle città. Al Nord, i cristiani sono 800mila (erano un milione e mezzo ma dopo l’indipendenza, molti si sono trasferiti al sud), serviti da due diocesi. La Conferenza episcopale è unica per Nord e Sud. Qual è il ruolo della Chiesa oggi? “La Chiesa – risponde padre Moschetti – si è data molto da fare nel passato per arrivare al Trattato di pace tra i due Stati, e anche per spiegare al popolo che era necessario che andasse a votare al referendum del gennaio 2011. Né l’esercito di liberazione, né il governo transitorio avrebbero avuto la forza sufficiente a raggiungere la gente in maniera così capillare; non avevano buone capacità diplomatiche e neppure grande credibilità. Tutte caratteristiche di cui invece disponeva la Chiesa. Oggi la questione è diversa. Adesso c’è una nuova situazione politica. C’è un presidente cattolico – Salva Kiir Mayardit -, che ha il sostegno sia dei cattolici che dei protestanti. Ma anche degli anglicani, il cui primate è Dinka, quindi della stessa etnia del presidente. Il che è molto importante in un Paese dove l’appartenenza etnica è ancora molto forte. E la Chiesa lavora molto sulla riconciliazione tra le etnie, che sono piuttosto litigiose”.

a cura di Romina Gobbo, caposervizio “La Voce dei Berici”, Vicenza

 
condividi su