TESTIMONIANZA – (17 Luglio)

Il vescovo Mazzolari: «La gente è pronta a riavere la propria dignità»

Ma come si chiamerà il nuovo Stato del Sud Sudan? Perché qui, nel Lake State, uno dei 10 Stati che compongono la zona meridionale della Nigrizia di Daniele Comboni, tutti ne sono convinti: il responso del referendum di domani è scontato, il sì strariperà tra gli oltre 3 milioni e 200 mila votanti registratisi nei vari “referendum centre”. «Vogliamo essere liberi dagli arabi, perciò il voto è una cosa buona. Non vogliamo più combattere né siamo più disposti alla guerra. Il nostro obiettivo resta l’indipendenza, da ottenere in pace». William, 49 anni, risponde orgoglioso con la sua tessera di voto in mano. Il chairman del seggio davanti alla cattedrale di Rumbek, una chiesetta già semidistrutta dalla guerra, ha il volto di uno studente della locale facoltà di scienze, Laot Machol: «Qui si sono registrate oltre 2.500 persone. Il referendum andrà bene» commenta nel suo ottimismo.

La vigilia del voto ha registrato l’incontro tra il presidente Omar el-Bashir e il leader del Sud, Salva Kiir, cui è giunta una telefonata del presidente Usa Barack Obama: pieno il sostegno della Casa Bianca al voto pro-indipendenza.

Chi ha incontrato Kiir riferisce di averlo trovato «pensieroso sulle tattiche di Khartum e l’avversità del governo centrale rispetto alla secessione». A parlare è Cesare Mazzolari, vescovo di Rumbek, che di recente ha avuto un faccia a faccia con il presidente sud sudanese. «Khartum – prosegue il comboniano bresciano – sta sobillando il disordine; il Sud non starà a guardare e cercherà di prendere le contromisure. Speriamo solo che non si tratti di tattiche bellicose». 

I timori sono dietro l’angolo in un popolo che soffre il trauma di una guerra civile fatta di 22 anni di saccheggi, di assedi e soprusi, sia dell’esercito di Khartum che dei guerriglieri Spla, i quali rapirono numerosi missionari e assaltarono varie chiese. Ne sa qualcosa l’ottantaduenne padre Mario Riva, comboniano lecchese, grande traduttore in lingua dinka: «Una sera – rievoca – nella mia missione ci fu un grande attacco dei guerriglieri. Il mio autista, Santino, voleva stare con me. Gli dissi: “Senti, tu hai moglie e figli, io no. Vai a casa da loro”. Attaccarono e mi fecero prigioniero. Il giorno dopo venni scarcerato su intervento diretto di John Garang», il grande comandante dell’Spla, morto in un sospetto incidente aereo nel 2005, pochi mesi dopo il trattato di pace di Nairobi.

Un’indipendenza che per i sud sudanesi è un dato di fatto più che un auspicio: «Te lo fanno capire dicendo che “enough is enough”, hanno sopportato abbastanza» annota padre Fernando Colombo, responsabile dei catechisti della diocesi davanti al suo ufficio pieno di catechismi e Bibbie dinka. «I neri si sentono disprezzati dagli arabi, che si fanno forti di quanto dice il Corano rispetto alla dominazione delle popolazioni negroidi». Padre Colombo, che visita molti villaggi, ne è convinto: «Se il referendum si tiene liberamente e senza trucchi, senz’altro ci sarà la separazione tra Nord e Sud. I sud sudanesi non accettano più di restare sottomessi. Quelli del Sud hanno avvertito per anni un senso di inferiorità dagli arabi, una speciale forma di povertà da cui si vogliono liberare, in modo pacifico».

Per la Chiesa il Sud Sudan resta una missione aperta anche nel dopo-referendum. Anzi: si intensificherà l’impegno nell’istruzione, nella formazione e creazione di una classe dirigente che – chiosa monsignor Mazzolari – «dovrà mettere in atto i piani di progresso e sviluppo dopo le elezioni». Il futuro della terra di Comboni si condensa negli interrogativi del suo successore: «Lavoreremo per il bene comune in modo unitario? Diventeremo un noi o prevarrà l’io tribale? In tal caso non esiste una prospettiva di pace anche con la secessione».

Mentre la notte africana scende sulla Pan Door («Casa della Pace») della diocesi e il vento del deserto sibila tra gli alberi, Mazzolari confida: «Io ho fiducia che il Signore ci farà andare avanti. Dopo tutto è il suo lavoro, ci siamo arresi alla sua volontà di amare questo popolo. Abbiamo fiducia che lui è più grande di noi, sempre».
Lorenzo Fazzini


Il testo completo si trova su:

 
condividi su