Lorgoglio di Vakifli sono le arance e i roseti. Oltre alla storia, sintende. Perché il monte su cui ci troviamo è il mitico Mussa Dagh, e questo paesino di centocinquanta anime è lultimo villaggio armeno della Turchia: uno dei sei che, nellestate del 1915, resistette per 53 giorni allassedio delle truppe ottomane venute per deportare gli abitanti, finché una nave francese scorse dal mare il telo bianco su cui i superstiti allo stremo avevano cucito una croce rossa, e li portò in salvo.
Lepopea degli armeni del “Monte di Mosè”, resa celebre dal romanzo di Franz Werfel I quaranta giorni del Mussa Dagh(uscito nel 1933), ebbe poi tante altre pagine: il ritorno nel 1917, e un nuovo esodo nel 39, quando la Francia scambiò la neutralità di Ankara nella seconda guerra mondiale con questappendice di terra, da allora turca. La maggior parte degli abitanti partì, in cerca di una nuova vita in Libano: i loro discendenti abitano ancora la Valle della Bekaa. Qualcuno, però, decise di non andarsene più.
«La mia famiglia è sempre rimasta qui, dove tutti noi abbiamo le nostre radici», racconta con orgoglio Elena. Avrà ventanni. La incontro fuori dalla chiesa di Surp Asdvadzadzin, Santa Madre di Dio, in cima alla salita dove si trova il piccolo centro del villaggio. «Tradizionalmente noi siamo i custodi della chiesa», racconta Elena. Un impegno che è diventato più consistente dal 2002, quando padre Serovpe, lultimo sacerdote nativo, è mancato. Il patriarca armeno di Istanbul non ha trovato un nuovo prete da mandare quassù. «Da allora un sacerdote viene in visita di tanto in tanto, per celebrare la messa, ma della parrocchia si prende cura il consiglio pastorale».
È difficile immaginare la vita quotidiana – e ancor più un futuro – per un giovane, a Vakifli. Lultima scuola ha chiuso i battenti allinizio degli anni Novanta. Per trovare un minimo di vita sociale e di opportunità bisogna scendere a Samandag, la cittadina ai piedi del monte, o ad Antakya, la capitale dellHatay, a trenta chilometri da qui. Ma in molti, negli ultimi anni, hanno scelto di partire per la grande città, Istanbul – dove il boom economico è palpabile e la vita per le minoranze più facile -, o addirittura per lestero. La Germania, soprattutto, già dagli anni Settanta terra della speranza per milioni di Turchi.
Fino allinizio del Novecento, in Anatolia vivevano due milioni di armeni. Oggi, in tutta la Turchia sono circa 50mila. Conseguenza dei massacri e delle deportazioni di massa allindomani della prima guerra mondiale, ma anche di decenni, dopo la nascita della Repubblica, in cui il nazionalismo estremo, che considerava lislam parte integrante dellidentità turca, ha reso la vita difficilissima in particolare per le minoranze cristiane, quella armena in testa.
A Vakifli, oggi, abitano in maggioranza anziani o persone di mezza età: quelli che non hanno voluto andarsene e quelli che non hanno resistito al richiamo delle radici, e sono tornati al villaggio una volta raggiunta la pensione. Nel pomeriggio, si ritrovano ai tavolini del “giardino del tè”, il bar locale, dove si gioca a backgammon sorseggiando bicchierini di raki.
Un quadro che si rivoluziona poche settimane allanno, destate, quando gli emigrati vengono a trascorrere qui le vacanze. La popolazione raddoppia, le stradine lastricate di pietra si riempiono di nuovo di bambini, la vita ritorna. Lo scorso agosto, come ogni anno, pullman pieni di armeni, anche della diaspora, sono arrivati in pellegrinaggio per la festa dellAssunzione. Dopo la celebrazione e la tradizionale benedizione delluva, lintero paese si è riunito attorno ai pentoloni fumanti in cui per tutta la notte era stata cotta lharissa, il piatto tipico della ricorrenza, e ha continuato a festeggiare fino a sera, quando in piazza le ragazze hanno danzato vestite degli abiti tradizionali.
Così la comunità cerca di mantenere viva unidentità in pericolo. Ma per immaginarsi un avvenire, in un villaggio dove non si celebra un matrimonio da 16 anni e i bambini faticano a parlare la lingua dei nonni (lunica scuola dove potrebbero studiare larmeno si trova a Istanbul ), servono opportunità concrete. A cominciare dal lavoro. E allora, Vakifli ha deciso di valorizzare la sua eccellenza: la frutta. Qualcuno ha intuito che, per unEuropa affamata di cibo biologico, le arance coltivate da secoli sui tipici terreni terrazzati senza pesticidi o fertilizzanti chimici potessero trasformarsi in prodotti strategici. I primi contatti con i possibili esportatori sono di una decina danni fa.
Oggi, lintero villaggio è certificato come “organico” e le arance di Vakifli si vendono nei mercati di Inghilterra, Germania, Olanda. Certo, i margini di guadagno sono limitati. Ma il nuovo corso della Turchia, con le politiche del premier Erdogan che ha cominciato a sollevare il velo su alcuni tabù e ha mandato qualche segnale di distensione alle minoranze religiose (anche sotto la pressione europea), ha raggiunto le colline del Mussa Dagh. Il rilancio agricolo è stato supportato dal governo, e ora lamministrazione regionale ha elaborato un piano di sviluppo delleco-turismo che include la ristrutturazione degli edifici storici per creare una pensione, un ristorante e un nuovo caffè. Viken, uno dei giovani che ha trasformato la tradizione familiare in business, spera che questo basti a non fare scomparire Vakifli. Intanto, la sua prima preoccupazione è mettere su famiglia: «Trovare moglie, quassù, è difficile. Ma andarmene lo sarebbe ancora di più».
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