USA/MEDIO ORIENTE – ( 8 Novembre )

USA E MEDIO ORIENTE
 
Cosa farà Obama?

Rimarrà bloccato come nel primo quadriennio o rilancerà il negoziato?

All’alba del suo secondo mandato, forte dei 60 milioni di voti ottenuti, Barack Obama è chiamato a redigere la sua nuova agenda politica che ha tra le sue sfide primarie il risanamento del bilancio e il rilancio della crescita economica e dell’occupazione, la riforma dell’immigrazione, l’indipendenza energetica. Ma sul tavolo del confermato presidente Usa trovano spazio anche i temi di politica estera, tra i quali quelli relativi al Medio Oriente che rivestono una grande importanza strategica. Conflitto israelo-palestinese, Siria, Iran, primavera araba, tanto per citarne alcuni, in che modo vedranno Obama impegnato in questo secondo mandato presidenziale? Daniele Rocchi, per il Sir, lo chiesto a Janiki Cingoli, direttore del Cipmo (Centro italiano per la pace in Medio Oriente).

Come giudica la politica estera americana in Medio Oriente durante il primo mandato di Obama?
“Per ciò che riguarda il Medio Oriente, il bilancio del primo mandato è stato abbastanza fallimentare. Il processo di pace tra israeliani e palestinesi è totalmente bloccato, in parte per le resistenze dei protagonisti sul terreno, di Netanyahu in particolare, in parte per un errore di approccio dell’amministrazione Obama che ha puntato come priorità sulla questione del blocco degli insediamenti e non sulla ripartenza del negoziato sul ‘final status’ di cui gli insediamenti sono un elemento. Questo ha dato la possibilità a Netanyahu di arroccarsi mettendo l’amministrazione Usa nella condizione di fare una clamorosa retromarcia. Questo approccio di Obama ha, di conseguenza, indotto i palestinesi a porre la pregiudiziale degli insediamenti invece di chiedere di ripartire dallo stato negoziale definito nella conferenza di Annapolis. Questa retromarcia di Obama non ha giovato alla sua credibilità nella realtà mediorientale dove la ‘dignity’ è elemento essenziale”.

Per questo secondo mandato cosa prevede?
“Per il futuro le questioni sono aperte. Adesso Obama sarà più libero di muoversi, non potendo essere rieletto per una terza volta, avendo a disposizione anche un cumulo di esperienza maggiore. Ciò potrebbe creare le condizioni per un rilancio da parte del presidente del processo negoziale tra israeliani e palestinesi. Non escludo nemmeno la possibilità che Obama si limiti a operazioni di facciata in Medio Oriente avendo nell’agenda di politica interna temi caldi come il bilancio e la crescita. Potrebbe accadere che la questione israelo-palestinese venga d’ora in poi percepita come marginale o lasciata in stand-by”.

Medio Oriente è anche Iran, la sua politica nucleare, la Siria in fiamme, la primavera araba…
“Riguardo all’Iran penso che Obama riconfermerà il tentativo negoziale. C’è stato, di recente, il segnale iraniano di sospendere le sue attività per l’arricchimento dell’uranio al 20%. Occorrerà vedere se la sua situazione interna consentirà all’Iran di aprire un po’ di più il tavolo negoziale e consentire una ripartenza del dialogo. Ricordo anche che il presidente Usa ha impedito a Israele, almeno fino a questo momento, di fare blitz unilaterali e credo continuerà su questa linea. Va sottolineato, poi, che l’insediamento di Obama coincide con la data delle elezioni in Israele, 22 gennaio 2013, in cui Netanyahu si presenta insieme al leader di destra Avigdor Lieberman, e questo non è molto rassicurante”.

Sulla Siria quale potrebbe essere l’impegno Usa?
“Credo che Obama non abbia nessuna intenzione d’impelagarsi direttamente nella crisi del Paese, al di là di un sostegno generico d’informazioni e di un po’ di armi ai ribelli. In Siria non c’è la lotta d’insurrezione di un popolo contro il tiranno ma una guerra civile tra componenti diverse della società. In una situazione simile si esce non con la vittoria di una parte sull’altra ma con una soluzione concordata di fuoriuscita”.

Altro file aperto sul tavolo di Obama è quello della primavera araba, ovvero della transizione in atto nel mondo arabo. Anche qui non mancano motivi di preoccupazione…
“È un dossier prioritario. La transizione, infatti, vede il consolidamento del controllo della componente sunnita dei Fratelli musulmani in tutta l’area, a partire dall’Egitto, passando per Marocco, Libia, Tunisia e Turchia. Obama ha appoggiato la fuoriuscita dei regimi autoritari ma il punto di approdo adesso è incerto e ciò rende difficile l’instaurazione di un rapporto con questa nuova e complessa realtà. Un’alleanza col fronte sunnita potrebbe essere il jolly per fronteggiare l’espansionismo sciita, ma a pesare ancora una volta è la mancata soluzione della questione palestinese che rientra in ambito sunnita così come Hamas, che sta registrando una crescente legittimazione, e i rapporti con l’Egitto che con Hamas ha un rapporto chiaro”.

 
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