L’attentato in Turchia spinge sempre di più Ankara nel pantano siriano
L’attacco è avvenuto lo scorso 11 maggio a Reyhanli, e ha fatto 46 morti. La città è a pochi chilometri dal confine con la Siria e ospita migliaia di profughi. Ankara punta il dito contro i servizi segreti di Damasco. I nove arrestati collegati alla strage sono tutti di nazionalità turca.
Damasco (AsiaNews/ Agenzie) – Ancora tensioni fra Ankara e Damasco dopo il terribile attentato avvenuto lo scorso 11 maggio a Reyhanli, città turca a pochi chilometri dal confine siriano, costato la vita a oltre 46 persone.
Ieri, Muammer Guler, ministro turco degli Interni, ha sottolineato in una conferenza stampa che l’obiettivo dell’attentato era provocare tensione fra i profughi siriani e la popolazione locale, che in più di un’occasione si è dimostrata contraria all’entrata di sfollati nei loro territori. In un discorso alla nazione, Recep Tayyip Erdogan, Primo ministro turco, ha denunciato il governo di Damasco, accusandolo di voler destabilizzare il confine per trascinare la Turchia nel “pantano” siriano. Il premier ha invitato i “cittadini a mantenere la calma e a non cedere a eventuali provocazioni”.
Da parte sua, il regime di Assad nega qualsiasi coinvolgimento nel massacro. Oggi, Omran al-Zoubi, ministro siriano dell’Informazione, ha sottolineato che il suo Paese £non ha commesso e non potrebbe mai commettere un tale fatto, perché viola i principi basilari su cui è fondato il Paese e il suo governo”.
Reyhanli è uno dei principali punti di raccolta dei profughi siriani, ma è anche un importante luogo strategico utilizzato dalle milizie ribelli per entrare in Siria. L’attacco è il secondo contro una città turca dall’inizio delle guerra. Gli esperti mettono in guardia sui rischi di una regionalizzazione del conflitto e puntano il dito contro l’eccessivo coinvolgimento di Ankara, principale sostenitore delle milizie ribelli che operano nel nord della Siria. La crisi fra Damasco e Ankara giunge a poche settimane dai colloqui fra regime e opposizione in programma per il 23 maggio a Istanbul.
Ieri, le autorità turche hanno arrestato nove persone collegate all’attacco, tutti cittadini turchi. Essi farebbero parte di un’organizzazione marxista sostenitrice del regime di Assad. Secondo Ankara, i servizi segreti siriani avrebbero coordinato l’azione attraverso milizie armate attive sul confine.
La crisi fra Ankara e Damasco cade al centro di un periodo di annunciati cambiamenti strategici da parte della comunità internazionale per uscire dalla crisi siriana, già costata la vita a oltre 70mila persone. Nei giorni scorsi John Kerry, segretario di Stato statunitense, e Sergei Lavrov, ministro degli Esteri russo, hanno riaperto la possibilità di una soluzione politica del conflitto, “resuscitando” il defunto piano in sei punti proposto nel giugno 2012 da Kofi Annan. Ciò ha allontanato l’ipotesi di un intervento armato nel Paese e frenato su eventuali aiuti militari ai ribelli siriani, già sostenuti da Turchia e Paesi del Golfo persico. I colloqui fra Kerry e Lavrov hanno spinto l’opposizione siriana e il regime a tornare al tavolo dei colloqui il prossimo 23 maggio a Istanbul. Fra le proposte vi sono la fine dei combattimenti su entrambi i fronti e la costruzione di un nuovo governo anche con ex membri del regime, ma senza la presenza di Bashar al-Assad.
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